Domani in California verranno messi all'asta 174 oggetti appartenuti ad Al Capone, il re dei gangster, mandante della strage di San Valentino nel 1929, finito in carcere per evasione fiscale e poi morto di malattia a 48 anni. Ci sono gioielli, servizi di piatti e bicchieri, un prezioso orologio da taschino, e naturalmente armi, compresa la sua pistola preferita, una Colt 45. Strumenti di morte che rendono ancora più difficile capire la fascinazione del potere criminale sconfitto, così come il successo dei tour nei luoghi di terribili delitti. Non volendo pensare male, che cioè si tratti di invidia per l'esercizio di un dominio qualunque sia, alla base ci dev'essere la volontà di certificare la vittoria della giustizia sulla malvagità, una spinta a testimoniare che il bene è più forte, e ha più fantasia. Tanto da trovare nutrimento per crescere anche in posti impensabili, persino in cuori apparentemente aridi. Tra i “cimeli” del gangster c'è, infatti, una lettera, molto affettuosa, al figlio. È scritta a matita come si fa con l'amore sussurrato, che impaurisce un po'. Francamente stupisce che venga messa all'asta. Perché l'affetto di un padre, anche se sbagliato e delinquente, non potrà mai essere comprato e venduto. E non esiste cifra, neanche a sei zeri, che lo valga.
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