Questa notte, ancora una volta, ho sognato la vecchia casa delle Dolomiti dove passavo le estati da bambina. Il luogo della prima felicità, delle prime scoperte: la stalla, i gatti, il fienile, il profumo dell’erba. E il luogo del dolore, quando mia sorella morì, quindicenne. Quella casa sotto alle Tofane, la sogno da cinquant’anni.
So tutto di lei, le venature del legno delle scale e il getto d’acqua cristallina nel lavatoio di pietra, continuo, di notte, come un canto. So che c’era un abbaino con due finestrelle: non riuscii a conquistarlo, ma ancora me lo immagino, vecchi arcolai e slitte di remoti bambini, in una trama di ragnatele che nella luce del tramonto sembrano d’oro.
Dal fienile, attraverso le fessure delle assi, spiavo i temporali, assaporavo la pioggia e la grandine, e il profumo della terra calda e bagnata. C’era anche una botola che dava sulla stalla, ormai abbandonata, per buttare il fieno alle mucche. Mi era proibitissimo avvicinarmi, ma naturalmente, con gran fatica, la sollevai: che pozzo nero pauroso mi si spalancò davanti. Da sotto, però, ancora saliva l’odore dolce del letame.
Un giorno in quel fienile con la mano sfiorai un grosso scorpione. Restai a contemplarlo, ipnotizzata: quanto terribile quell’uncino di veleno. Chissà, mi chiesi, perché Dio aveva creato gli scorpioni.
La casa era grande, chiara e buona.
Nelle camere letti monumentali, sommersi da candidi piumini. La gioia, per me bambina, era dormire in quella morbidezza accanto a mia madre, e sentire il suo profumo. Talvolta però di notte, dopo che mia sorella era morta, mi svegliavo e mi pareva che la mamma non respirasse bene. Allora restavo a sorvegliare il sollevarsi del suo petto, mentre una paura mi si allargava, come un lago, dentro - una paura che non mi avrebbe più abbandonato.
Nel grande specchio della cassettiera si rifletteva la mia faccia di bambina, mentre mia sorella come un’ancella devota mi annodava la treccia; e a ogni nodo io strillavo, piccola regina prepotente.
Quella casa è rimasta il simbolo
della mia vita più bella - e poi, della più abbandonata. È un topos vivo della memoria. Incubi, spesso, ma anche brevi frames felici.
Questa notte dunque ho sognato che dormivo con mia madre nel gran letto con i candidi piumini, ma ci svegliava un grido acuto di donna: un grido lacerante, interminabile. Allora spaventate noi sbarravamo la porta, nel buio, indifese. Passi nel corridoio: poi, nessuno arrivava.
(Mi resta però in testa, quel grido straziante. Come vero, come se una donna, stanotte, davvero così avesse gridato. Dove, e chi, e vicino, o lontano?)
Da tutta la vita faccio sogni oscuri o terribili, e mi domando chi è il regista di queste fiabe misteriose. Quasi sempre, però, nel sogno torno a quella casa sotto le Tofane, come a una matrice buona, dove la vita era come l’acqua trasparente del lavatoio. Non ho più il coraggio di andare laggiù. Nemmeno di aprire Google Earth, mettere l’indirizzo, e magari scoprire che la mia casa non c’è più.
Succederà. E sarò allora molto vecchia, e costretta a letto. E mi addormenterò, finalmente, per tornare in Dio. Ma se potessi, per un giorno solo, essere ancora bambina in quel fienile e in quei prati, ecco, ne sarei grata. Già quello sarebbe paradiso. E in questa speranza, mi accorgo, si dissolve la paura, mia costante compagna.
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