Quella casa sulle Dolomiti, un anticipo di Paradiso

July 6, 2024
Questa notte, ancora una volta, ho sognato la vecchia casa delle Dolomiti dove passavo le estati da bambina. Il luogo della prima felicità, delle prime scoperte: la stalla, i gatti, il fienile, il profumo dell’erba. E il luogo del dolore, quando mia sorella morì, quindicenne. Quella casa sotto alle Tofane, la sogno da cinquant’anni. So tutto di lei, le venature del legno delle scale e il getto d’acqua cristallina nel lavatoio di pietra, continuo, di notte, come un canto. So che c’era un abbaino con due finestrelle: non riuscii a conquistarlo, ma ancora me lo immagino, vecchi arcolai e slitte di remoti bambini, in una trama di ragnatele che nella luce del tramonto sembrano d’oro. Dal fienile, attraverso le fessure delle assi, spiavo i temporali, assaporavo la pioggia e la grandine, e il profumo della terra calda e bagnata. C’era anche una botola che dava sulla stalla, ormai abbandonata, per buttare il fieno alle mucche. Mi era proibitissimo avvicinarmi, ma naturalmente, con gran fatica, la sollevai: che pozzo nero pauroso mi si spalancò davanti. Da sotto, però, ancora saliva l’odore dolce del letame. Un giorno in quel fienile con la mano sfiorai un grosso scorpione. Restai a contemplarlo, ipnotizzata: quanto terribile quell’uncino di veleno. Chissà, mi chiesi, perché Dio aveva creato gli scorpioni. La casa era grande, chiara e buona.
Nelle camere letti monumentali, sommersi da candidi piumini. La gioia, per me bambina, era dormire in quella morbidezza accanto a mia madre, e sentire il suo profumo. Talvolta però di notte, dopo che mia sorella era morta, mi svegliavo e mi pareva che la mamma non respirasse bene. Allora restavo a sorvegliare il sollevarsi del suo petto, mentre una paura mi si allargava, come un lago, dentro - una paura che non mi avrebbe più abbandonato. Nel grande specchio della cassettiera si rifletteva la mia faccia di bambina, mentre mia sorella come un’ancella devota mi annodava la treccia; e a ogni nodo io strillavo, piccola regina prepotente. Quella casa è rimasta il simbolo
della mia vita più bella - e poi, della più abbandonata. È un topos vivo della memoria. Incubi, spesso, ma anche brevi frames felici. Questa notte dunque ho sognato che dormivo con mia madre nel gran letto con i candidi piumini, ma ci svegliava un grido acuto di donna: un grido lacerante, interminabile. Allora spaventate noi sbarravamo la porta, nel buio, indifese. Passi nel corridoio: poi, nessuno arrivava. (Mi resta però in testa, quel grido straziante. Come vero, come se una donna, stanotte, davvero così avesse gridato. Dove, e chi, e vicino, o lontano?) Da tutta la vita faccio sogni oscuri o terribili, e mi domando chi è il regista di queste fiabe misteriose. Quasi sempre, però, nel sogno torno a quella casa sotto le Tofane, come a una matrice buona, dove la vita era come l’acqua trasparente del lavatoio. Non ho più il coraggio di andare laggiù. Nemmeno di aprire Google Earth, mettere l’indirizzo, e magari scoprire che la mia casa non c’è più. Succederà. E sarò allora molto vecchia, e costretta a letto. E mi addormenterò, finalmente, per tornare in Dio. Ma se potessi, per un giorno solo, essere ancora bambina in quel fienile e in quei prati, ecco, ne sarei grata. Già quello sarebbe paradiso. E in questa speranza, mi accorgo, si dissolve la paura, mia costante compagna. © riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA