giovedì 24 novembre 2016

E la bocca degli inferi non prevarrà contro di essa. Alle pendici dell'Hermon, visitando Banyas, dove il Giordano ha la sua sorgente principale, si resta impressionati da come la geografia “incarni” le parole di Gesù. È qui, infatti, quella Cesarea di Filippo in cui Cristo pronunciò le parole che assicurano alla Chiesa la stabilità contro la voracità del maligno. L'amena radura, ricca di salici piangenti, alberi da fico e arbusti che si abbeverano alle limpidissime acque della sorgente, contrasta con lo scenario sullo sfondo: una parete rocciosa, aspra e rossastra, nel mezzo della quale spicca una caverna, simile a fauci pronte a inghiottire ogni cosa. Si tratta della cosiddetta “bocca del dio Pan”, divinità pagana che i romani associavano ai festini e al suono dei flauto. Ma, sotto le spoglie di questo licenzioso dio pastore, si celava per gli ebrei il diavolo stesso. Così la bocca degli inferi menzionata da Gesù ebbe molta fortuna nella predicazione e nell'arte di ogni tempo, soprattutto medievale.


Mi sono imbattuta proprio in una di queste immagini, mentre ricercavo il testo di papa Francesco sulla chiusura del Giubileo. Il Libro delle ore di Caterina di Cleves prende spunto proprio dalla bocca degli Inferi per illustrare il giudizio dell'ultimo giorno. La lettera apostolica Misericordia et Misera, cade proprio nel tempo liturgico in cui la Chiesa ci fa riflettere sui novissimi. Una delle miniature del menzionato Libro delle Ore raffigura una tremenda bocca spalancata, in tutto simile a quella di Panea, nome antico dato a Banyan a motivo del tempio dedicato al dio Pan, dove stanno alcune anime, nude e sofferenti. Le fiamme rappresentano il fuoco della purificazione nelle quali le anime si dibattono in cerca di salvezza. Un uomo, in piedi, cerca di fuggire da esse, mentre una donna a braccia levate pare invocare una salvezza che viene dall'alto. Accompagnano la miniatura due citazioni di salmi usate, nella liturgia latina, per dare inizio alla preghiera: «Convertici a te, o Dio nostra salvezza e allontana da noi la tua collera». E ancora: «Dio, volgiti in mio aiuto. Signore, affrettati a soccorrermi». Tali parole, desuete e forse lontane dal nostro vocabolario, esprimono compiutamente la misericordia divina, così come papa Francesco la tratteggia nella sua lettera. Infatti, a dispetto di una prima impressione, il titolo della miniatura è incoraggiante e si accorda perfettamente alla Misercordia et Misera: «Rilascio delle anime dalla bocca dell'inferno». Un angelo infatti, simbolo di Dio stesso, al grido di aiuto, accorre liberando le anime dalla loro schiavitù. Così il Santo Padre promettendo larga misericordia ai peccatori, esercita quel «potere sugli inferi» conferito alla Chiesa da Cristo stesso. La gravità del peccato è ribadita, così come il miniaturista olandese dipinge con drammatico realismo le fauci infuocate di Satana, ma a questa gravità si oppone la leggiadria dell'Angelo del Signore che libera tutti coloro che lo invocano. Che Dio sia invocato e che il perdono sia cercato, questo è il grande obiettivo della misericordia divina. Dio vuole, come dice il testo Sacro, che tutti siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. La colpa commessa è perdonata, non per relativizzare il peccato, bensì per restituire l'uomo a quella integrità e bellezza pensata per lui, dal Creatore, fin dall'eternità. «Nessuno ti ha condannato» dice Cristo alla donna adultera, ma aggiunge: «Va' e non peccare più». Allontanarsi dalla bocca degli inferi significa abbeverarsi alle acque del Giordano ed esserne purificati e rinnovati.

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