Fra i capolavori della letteratura americana c'è un discorso di Henry David Thoreau, l'autore dei più famosi Walden e Disobbedienza civile. Si tratta di un saggio In difesa di John Brown, scritto e pronunciato nel 1859. Pochi in Italia credo che lo abbiano letto e tutti dovrebbero leggerlo (anche se, che io sappia, la più recente edizione è quella uscita nel 1992 nelle edizioni SE, a cura di Franco Meli, ormai quasi introvabile). Questo discorso è l'apologia di un uomo che Thoreau definisce senza mezzi termini «un eroe» per aver tentato con le armi in pugno, aiutato da un gruppo di compagni, di suscitare una rivolta di schiavi neri. Nell'ottobre del 1859 John Brown, ad Harper's Ferry, dopo aver assaltato un arsenale ed essersi impadronito delle armi, si aspettava un sollevamento (che non avvenne) della popolazione nera. Fu attaccato dai marines, fatto prigioniero, processato e impiccato con i suoi compagni superstiti.
Thoreau è uno degli autori che influenzarono i più grandi leader politici non violenti, da Gandhi a Luther King. Ma la sua sfiducia nei confronti del governo e delle lentezze legislative lo porta a dare valore ad azioni individuali esemplari e ispirate da alti principi morali. Thoreau non ha dubbi sul fatto che i governi tendano più a «crocifiggere Cristo» che a riconoscere la verità del suo messaggio e a tenerne conto. Scrive che Brown si disgustò fin da ragazzo della vita militare e di ogni guerra. Non studiò ad Harvard, «non fu nutrito con la pappa che là si somministra». La sua università fu il West, «dove coltivò assiduamente lo studio della libertà». Era «un uomo di idee e di prìncipi», «non esagerava mai niente» ma «parlava nei limiti della ragionevolezza». Questo lo portò ad agire e a rischiare la vita pur di fare qualcosa di giusto, di persona e subito per abolire la schiavitù dei neri d'America. Ricordò che nella sua infanzia, vedendo come venivano trattati i bambini neri senza padre né madre, si chiedeva: «È Dio, forse, il loro padre?».
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