Parte all’età di 17 anni dalla sua nativa contea, Maryland, in Liberia. Siamo nel 2008 e ci troviamo nel primo mandato di Ellen Johson Sirleaf, prima donna presidente del Paese insanguinato e diviso da anni di guerra civile. Emanuel lascia la città portuaria di Harpour, chiamata anche Cape Palmas, per passare nell’adiacente Costa d’Avorio e stabilirsi a Tabou, città rifugio per migliaia di liberiani. Dopo un paio d’anni si trova a Zerekoré
in Guinea tra le altre migliaia di rifugiati e sopravvive come agente informale di cambiavalute grazie a un fratello maggiore.
Amici e la navigazione sul net lo fanno migrare in Algeria nel 2012.
Ciò che cerca è l’attraversamento del mare Mediterraneo che si pone come spartiacque tra i due continenti, uno dei quali Emanuel vorrebbe abbandonare al suo destino. In Algeria guadagna quanto basta per tentare la traversata del mare e passa in Marocco. Per tre volte tenta di lasciarsi alle spalle il continente africano e per tre volte la guardia costiera marocchina riporta i natanti a riva. Per i primi due viaggi ha speso 500 euro mentre per l’ultimo ne ha sborsati, inutilmente, il doppio. Faceva la spola tra i due Paesi, il Marocco e l’Algeria, dove lavorava da manovale e guadagnava abbastanza per pagarsi i viaggi.
Siamo ormai nel 2022. La vita di Emanuel sembra tornata normale e per un anno si ristabilisce a Algeri. Per strada, come gli altri africani neri, spesso è chiamato “camara” (compagno) o “dog” (cane) . Entrato in un negozio per comprare di che nutrirsi, è stato fermato da un poliziotto. L’hanno arrestato, derubato e infine deportato fino a Tamanrasset, dove ha convissuto nel centro di detenzione con altre centinaia di migranti, rifugiati o richiedenti asilo. Dopo qualche settimana sono stati imbarcati e poi buttati nel deserto presso la frontiera con il Niger. Una settimana a Assamaka, cittadina migrante inventata dal nulla, e dopo a Agadez.
Passa qualche mese nello snodo delle migrazioni dell’Africa occidentale e centrale, per raggiungere, con mezzi di fortuna, la capitale Niamey. Abita, da un paio di settimane, con decine di migranti come lui, non lontano dall’attuale palazzo adibito a sede del ministero della Giustizia, che non c’è. Emanuel custodisce 33 anni di solitudine e spera di attraversare il mare per un’ultima volta.
Niamey, giugno 2024
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