Quali disegni dietro il premierato? Valutare bene tutte le implicazioni
martedì 12 dicembre 2023

Caro Avvenire,
leggo sempre con molto interesse le riflessioni sulla proposta di modifica costituzionale circa il premierato avanzata dal governo attuale. Nella sua rubrica “La Repubblica di tutti”, Stefano De Martis scrive: «Il problema è capire se governi stabili e ben connessi con il voto sono il vero obiettivo della riforma o se invece si perseguono surrettiziamente altri disegni». Quali disegni? Grazie dell’attenzione.

Pietro Sangermani

Gentile Sangermani, Stefano De Martis è un grande esperto della scena politica italiana e non scrive mai senza cognizione di causa. La cosiddetta riforma per il premierato proposta da Giorgia Meloni è definita da lei stessa come la madre di tutte le riforme, quella cui vuole legare il proprio nome e, probabilmente, la prosecuzione del suo mandato nella prossima legislatura. Non mi avventuro in trattazioni giuridiche – su questo è interessante andare a leggersi le considerazioni espresse da 4 presidenti emeriti della Consulta auditi al Senato il 28 novembre - ma sono colpito dal modo in cui la riforma è promossa dalla maggioranza, e della premier in particolare. L’enfasi, l’avrà notato da lettore attento, caro Sangermani, è tutta sulla possibilità di scelta attribuita ai cittadini. Saranno finalmente gli italiani a eleggere il capo del governo con un’espressione lineare della loro volontà, che sarà adesso rispettata e non più distorta o ignorata da cambi di alleanze e giochi di Palazzo. E saranno proprio gli elettori nel referendum confermativo a promuovere o meno l’elezione diretta del premier e i suoi maggiori poteri a detrimento di quelli del presidente della Repubblica. Il sottofondo semplificante a sostegno del nuovo assetto istituzionale è quello di una maggioranza che può manifestarsi, decidere e vedere realizzate le proprie preferenze senza più mediazioni o interferenze. Se si aggiunge che il testo attuale prevede l’assegnazione del 55% dei seggi in Parlamento alla coalizione che esprime il presidente del Consiglio, diventa chiaro che il disegno rischia di entrare in tensione con lo spirito della democrazia liberale rappresentativa. Che è fatta di limiti costituzionali, istituzioni di garanzia, spazio assicurato alle minoranze, procedure non aggirabili, maggioranze rafforzate per nomine o innovazioni di rilievo. L’idea del premierato non è problematica in sé. Essa è però espressione di un ricorso al voto diretto inteso come autentica espressione della democrazia, quando in realtà può rappresentare anche la strada per assetti non ideali o persino derive plebiscitarie. Certamente, il popolo è sovrano, ma è nell’intonazione populista appena descritta (“la maggioranza ha sempre ragione”) che si possono individuare motivi di perplessità circa la riforma in discussione. Su un tema così cruciale si deve pertanto auspicare un dibattito aperto e approfondito nel Paese durante l’iter parlamentare e poi in preparazione della probabile consultazione generale a fine percorso.

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