Nel guazzabuglio che oggi pare essere il campo semantico dell'amore, il Vangelo rappresenta una bussola importante e significativa. Perché da un lato chiede di donarsi agli altri in una gratuità che sconfina con il martirio - nessun altra religione chiede di porgere la guancia a chi ci ha percosso né di amare i nostri nemici, al massimo di perdonarli. E d'altra parte il Vangelo ci chiede una cura del sé che assomma alla donazione verso gli altri un rispetto e una positività verso quegli «altri» da noi che siamo noi stessi.
Ma dunque l'amore? Cosa significa concretamente amare? Che cosa instilla nel nostro vivere questa dimensione (sentimento è termine troppo ambiguo e ristretto) dell'essere persone? In un romanzo molto leggero e scanzonato, Mariana Leky, autrice di culto in Germania, ci offre una risposta molto vicina al dettato evangelico. Nel suo Quel che si vede da qui (Keller) scrive: «L'amore ti coglie alla sprovvista, pensai, entra in scena come l'ufficiale giudiziario che si era appena presentato dal contadino Leidig nel paese vicino. Una volta entrato in scena, pensai, l'amore appiccica un sigillo su ogni aspetto di tua proprietà e dice: "Ora non è più tuo"». Con l'amore nulla resta più nostro, quel che è nostro diventa dell'altro. Pensiamoci: l'amore di Dio è questa roba qui.
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