Vedo con piacere che Riccardo Chiaberge, sul "Sole24ore" di domenica scorsa, si occupa con severità degli Istituti italiani di cultura sparsi in 88 città del mondo («Fannulloni italiani all'estero», 15 giugno). E' un argomento che viene preso in considerazione troppo raramente. Dice Chiaberge che questi istituti «dovrebbero essere un punto di riferimento per i nostri connazionali all'estero e una piattaforma di lancio per scrittori, artisti, cantanti. Ma non fanno bene né l'uno né l'altro mestiere». Salvo eccezioni (ne conosco diverse personalmente) gli addetti culturali e spesso gli stessi direttori sono poco informati, piuttosto pigri, non prendono iniziative originali, non hanno (dicono di non avere e sarà vero) abbastanza soldi per pagare gli inviti: e in genere, ho notato, pensano a tutto fuorché alla cultura italiana.
Chiaberge sottolinea che gli addetti culturali sono superpagati, ma si comportano come se in cambio non dovessero dare che la loro svogliatezza e incompetenza. Alla svogliatezza del personale dovrebbero rimediare i direttori, mostrando di avere in mente programmi ben ponderati e ferme intenzioni di attuarli. Per la competenza consiglierei due semplici cose. La prima è la lettura delle pagine culturali e dei supplementi-libri di almeno quattro o cinque giornali italiani: ho spesso avuto l'impressione che nei nostri istituti di cultura ci si trovi a corto di informazioni elementari, salvo sognare di avere come invitati Claudio Magris, Riccardo Muti e Umberto Eco. La seconda cosa che consiglierei è invitare ogni anno alcuni storici, critici e giornalisti che tengano lezioni e conferenze sulla cultura italiana degli ultimi decenni, dal 1945 o dal 1960 a oggi. Questo offrirebbe una buona base informativa anche per chi lavora negli istituti o li dirige. È facile, dopotutto, rimediare alle proprie lacune. Basta chiamare qualcuno a raccontarci quello che non sappiamo. Poi qualche idea verrà.
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