Prodotti tipici, Natale senza crisi
sabato 7 dicembre 2002
Altro che crisi economica e consumi stagnanti. Tutte frottole degli economisti. Almeno così sembra se si guarda a quanto gli italiani spenderanno a Natale per coprire le tavole di prodotti tipici. Eppure se di crisi si deve parlare, certamente questa colpisce anche i nostri campi. In ogni caso, stando ad un'indagine della Cia - una delle tre organizzazioni professionali degli agricoltori - fra cenoni e postcenoni natalizi e di fine anno ci ritroveremo a sborsare qualcosa come due miliardi di euro. E solo nelle golosità tipiche dello Stivale. Mentre altri 700 milioni finiranno bevuti in vini e spumanti. Se ci si mettono poi anche le spese per fare qualche giorno in campagna, a questo fiumi di soldi occorre aggiungere altri 200 milioni di euro. Un dato che, viene fatto rilevare dagli osservatori del mercato turistico, potrebbe pure aumentare se sarà confermata la tendenza degli italiani a disertare le località turistiche straniere a causa delle tensioni che si registrano a livello internazionale. In ogni caso, a fare la parte del leone nelle spese enogastronomiche anticrisi, saranno probabilmente i formaggi con 650 milioni di euro, seguiti dai salumi con altri 600 milioni. Mentre 400 milioni di euro finiranno spesi per gli ortofrutticoli (in particolare la frutta secca) e per i legumi, 350 milioni di euro per l'olio d'oliva. Si tratta sicuramente di risorse importanti, che vanno - almeno in parte - a rimpinguare un comparto, quello del "tipico", che rappresenta oltre il 10% della produzione agricola italiana e raggiunge un fatturato annuo di 9 miliardi di euro dando lavoro, tra attività dirette e indotto, a più di 300mila persone. Ed è indubbio che questo tipo di produzioni rappresenti un vera e propria ancora di salvezza per molti territori marginali e svantaggiati che fanno comunque l'agricoltura italiana. Ma, pur con tutto ciò, questo settore deve fare i conti con un futuro che non può essere fatto solamente di
prodotti tipici. Sul fronte interno, una Finanziaria che per molti deve ancora essere messa a punto; su quello estero le prospettive di un allargamento dell'Europa che desta più preoccupazioni che entusiasmi (lo stesso bilancio attuale dovrebbe bastare per tutti gli Stati membri, vecchi e nuovi), così come una riforma della politica agricola condizionata dal negoziato Wto. Sono cioè molte le questioni che agiteranno i prossimi mesi. Senza contare che quelle stesse imprese che riceveranno un po' di ossigeno dai consumi natalizi, devono ancora riprendersi da una annata che ha collezionato calamità su calamità, per arrivare a danni stimati per 4 miliardi di euro. Mentre - e forse è la cosa più grave - le ragioni di scambio che gli imprenditori agricoli riescono a spuntare continuano a peggiorare. E non sarà certo un pugno di prodotti tipici a salvare da solo l'intera nostra agricoltura.
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