Il lavoro di scouting digitale che sta alla base di questa rubrica, ma anche il mio personale interesse, mi hanno portato a conoscere molti blog e profili sui social network curati da preti, religiose e religiosi. Non tutti sopravvivrebbero al decreto generale “La presenza del clero, dei membri degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica e di alcuni fedeli laici sui media” (bit.ly/3ouGNeN), severa griglia approntata dall’episcopato polacco.
È entrato in vigore lo scorso 20 aprile, dopo i necessari passaggi (discussione e approvazione da parte dell’Assemblea dei vescovi, lo scorso ottobre; revisione della Santa Sede e finalmente, il 30 marzo 2023, promulgazione). In italiano, lo riassume su Settimananews un post di Lorenzo Prezzi (bit.ly/3H5HSAg). Il presupposto che ha orientato i vescovi polacchi è che sui media si sta sempre a nome della Chiesa e non a titolo personale: perciò chi prende la parola attraverso di essi deve essere fedele al Vangelo, alla dottrina e al magistero (universale e particolare) e deve anche godere dell’autorizzazione del suo superiore gerarchico. Ma ecco i riferimenti specifici del decreto agli incroci tra Chiesa e digitale. «Le messe possono essere trasmesse solo “in diretta” e non possono essere ritrasmesse», a meno che non si tratti di «frammenti» (ad esempio, un’omelia): sottolineatura significativa, certamente figlia dei trascorsi lockdown.
Bisogna «esercitare particolare prudenza e cautela» nelle «conversazioni condotte attraverso i media» nel contesto di un’eventuale direzione spirituale, mentre ovviamente «non si può» celebrare il sacramento della riconciliazione per telefono o via Internet. Se si è titolari di un account si deve dichiarare chiaramente il proprio status ecclesiale (chierico, religioso…); anche nella foto sul profilo si deve indossare l’abito. E infine la norma più importante: sebbene la presenza di preti e religiosi, «specialmente nei social media», sia una «attività privata», essi «sono sempre visti come rappresentanti della Chiesa»; perciò tale presenza «non può essere utilizzata per svolgere attività contro Dio, il Vangelo, l’unità della comunione ecclesiale, i propri superiori o qualsiasi altra persona». Declinabile anche come argine a certi eccessi verbali che diventano controtestimonianze.
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