Presidente a tempo? Risparmiamoci il bla-bla
domenica 21 novembre 2021
Le divagazioni costituzionali che vengono disseminate sul percorso che porta all'elezione del Presidente della Repubblica sono in misura inversamente proporzionale alla capacità mostrata dalle forze politiche di realizzare quelle riforme istituzionali serie e ponderate di cui pure ci sarebbe bisogno. Una delle ipotesi più gettonate ma anche delle più bizzarre tra quelle in circolazione prefigura di eleggere a gennaio un Capo dello Stato con un mandato a termine. Non è un'ipotesi astratta, è stata concepita sin dall'inizio con nomi e cognomi.
Ci si appoggia al precedente della presidenza Napolitano – non a caso un'eccezione nella storia della Repubblica – per disegnare uno scenario di questo genere: Sergio Mattarella viene riconfermato nel suo ruolo attuale e Mario Draghi resta a Palazzo Chigi fino al compimento della legislatura all'inizio del 2023; dopo il voto Mattarella si dimette e il nuovo Parlamento elegge Draghi al Quirinale. È uno scenario che prescinde a tal punto dalla libera volontà delle persone e degli organismi chiamati in causa da risultare allo stesso tempo irrispettoso e irrealistico. Peraltro, è pura fantascienza immaginare che sia possibile stipulare oggi tra i partiti un patto così robusto da reggere addirittura oltre le prossime elezioni: sarebbe già un gran bel risultato se il quadro politico rimanesse stabile fino alla conclusione naturale della legislatura.
Ma al di là degli elementi di fatto che rendono palesemente irrealizzabile lo scenario descritto, l'ipotesi "mandato a termine con staffetta" contraddice apertamente la lettera e lo spirito della Costituzione che per l'incarico presidenziale prevede una durata di sette anni, quindi superiore a quella dei due rami del Parlamento. Una scelta, come disse all'Assemblea costituente il relatore Egidio Tosato, che mira «a soddisfare l'esigenza di una certa permanenza, di una certa continuità nell'esercizio delle pubbliche funzioni, mentre contribuisce a rafforzare l'indipendenza del Presidente dalle Camere che lo eleggono». E ancora: «Che le Camere si rinnovino e il Presidente resti significa svincolare il Presidente dalle Camere dalle quali deriva e rinvigorirne la figura».
Non regge e forse si rivela persino più insidiosa la motivazione con cui i sostenitori del mandato a termine cercano di aggirare l'ostacolo della Carta, sostenendo che il Parlamento attuale non sarebbe titolato a eleggere un Presidente per sette anni in quanto a stretto giro le prossime Camere avranno una configurazione numerica diversa. Ma innanzitutto la riforma che ha tagliato il numero di deputati e senatori non ha toccato una virgola delle attribuzioni dei due rami del Parlamento, che restano intatte. E poi come la mettiamo con le riforme strutturali che queste Camere hanno approvato e stanno approvando e che segneranno la vita del Paese almeno fino al 2026, dispiegando poi i loro effetti per decenni? Insomma, non è proprio il tempo di discettare di presidenti a tempo determinato e di parlamenti a scartamento ridotto. I partiti si assumano le loro responsabilità e in Parlamento compiano la scelta migliore per il bene degli italiani. La Costituzione, tanto più in questo frangente, teniamola al riparo da manovre strumentali e di corto respiro (ma di lunghe conseguenze).
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