Quale immagine di Dio ci siamo fatti nel corso della vita? Che idea trasmettiamo di Colui che riconosciamo come sorgente di vita e di senso? Tony Hendra, scrittore e umorista inglese che ha avuto successo negli Usa, ha dovuto incontrare un benedettino anziano per convincersi che la sua rappresentazione di Dio era decisamente fuori tempo e fuori luogo. Ascoltiamolo nel suo memoir-romanzo Padre Joe (Mondadori), ricco di arguzia: «In quanto monaco, parlava di Dio. Però di rado, se non in relazione alla parola “amore”. E mentre ne parlava riferendosi a Lui, si trattava di un “lui” che io non riconoscevo, quell'autorità distante che ti fa venire la tremarella, il “preside dell'universo”, invocato per rafforzare la disciplina o la moralità o l'obbedienza con la dottrina. Padre Jose sembrava non aver bisogno del clericale righello metallico che implicava “fai così o lo dirò a tuo padre”». Ecco, tutto qui. Anche come comunità cristiana educante dovremmo farci un bell'esame di coscienza: il Dio che annunciamo e testimoniamo è del modello «preside dell'universo» o ha a che fare unicamente con la parola «amore», non in senso sdolcinato, modello Baci Perugina, ma semplicemente perché «Dio è amore», come recita la prima Lettera di san Giovanni? Qui sta o non sta il nostro cristianesimo.
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