Indonesia, gennaio 2005 – Mentre l'aereo si abbassa su Banda Aceh guardo dal finestrino: palme, e campi lussureggianti all'infinito. L'Eden. Ma a terra un taxi infangato mi porta verso la costa annientata dallo tsunami. Di colpo i campi dell'Eden sono ingoiati da una melma nera, da cui sbucano assurdamente musi d'auto contorte, e camion stritolati come da una morsa d'acciaio. Il paradiso si è fatto inferno.In città molte zone sono ancora sommerse; nei campi allagati galleggiano ancora, gonfi, dei cadaveri. Vedo uomini seduti sulle soglie, immobili, lo sguardo nel vuoto: come non avesse più senso far niente, nel trionfo della morte. Dei bambini con un carretto entrano nei cortili abbandonati, portano via due stoviglie, un ombrello, un triciclo rotto. Tutto, dentro quel fango, è come trasfigurato.La notte cala nerissima nelle strade senza elettricità. Dalla finestra della missione dove dormo entra, dolciastro, l'odore della morte, e il latrare rabbioso di branchi di cani inselvatichiti non lascia prendere sonno. Quando prima dell'alba riparto, c'è una candela accesa in cucina: attorno al tavolo un vecchio missionario italiano, tre suore e un giovane camilliano americano recitano le Lodi. E che si possa lodare Dio qui, è, nell'inferno di Banda Aceh, ciò che più mi ammutolisce.
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