Facciamo finta per un attimo che sia già tutto vero. Siamo nel 2030. Siamo a casa. Indossiamo un paio di occhiali per la realtà aumentata e entriamo virtualmente in un centro commerciale, dirigendoci nella zona degli alimentari. Davanti a noi ci sono montagne di cibo. Una è di frutta freschissima.
Chissà che gusto avrà quella mela. Sarà buona come l’ultima volta che l’abbiamo acquistata? Nessun problema: allunghiamo la mano, prendiamo il frutto e lo portiamo alla bocca. Adesso il nostro sguardo si dirige sul reparto dei salumi. Peccato che siamo a dieta. Nessun problema. Ci spostiamo di qualche metro, e prendiamo una busta di insalata “speciale”. È già pronta, lavata e sfavillante. E in più sa di salame. Certo non è la stessa cosa che mangiare una fetta appena tagliata da un salame vero, ma è molto meglio che niente. E in più non fa male.
È solo un piccolo, piccolissimo esempio di quello che sarà l’Internet dei sensi. Il gigante svedese delle telecomunicazioni Ericsson ci crede da almeno tre anni. Ed è convinta sarà pienamente operativo già nel 2030. Ci crede anche un colosso come Talkwalker che l’ha appena ribadito nel suo ultimi rapporto sui nuovi trend digitali. Fino ad oggi la nostra presenza in Rete si basa solo su due dei nostri cinque sensi: la vista e l’udito. Ma tra non molto anche online potremo usarli tutti. Compresi tatto, olfatto e gusto. Quella che oggi ci sembra una fantasia, un po’ folle potrebbe diventare presto realtà con grandi implicazioni non solo commerciali. Per esempio: come cambierà il nostro rapporto con il cibo? E quanto cambierà il nostro rapporto con le cose e con le persone?
Come spiega Futures Platform, «in futuro, occhiali e lenti a contatto per la realtà aumentata, sempre più leggeri e avanzati, consentiranno agli utenti di proiettare oggetti digitali in spazi fisici con livelli di realismo inquietanti. Il tocco diventerà anche più amplificato. Il feedback tattile è già disponibile oggi, ma con l’evolversi delle tecnologie emergeranno anche forme più avanzate di dispositivi indossabili che replicano il senso di peso e movimento negli oggetti digitali». E ancora: «Esistono già vari prototipi che replicano i sensi del gusto e dell’olfatto come il sintetizzatore Norimaki, progettato dai ricercatori dell’Università Meiji in Giappone, il quale ricrea artificialmente qualsiasi sapore sulla lingua di un utente». E l’olfatto? Chi ha qualche anno sulle spalle forse si ricorderà dei film in “odorama”.
L’idea venne a Mike Todd Jr nel 1960. Creò un macchinario che doveva
spruzzare profumi e odori, particolarmente evocativi, direttamente sulle poltrone degli spettatori a un segnale codificato nella pellicola. Fu un fallimento. Nel 1981 il regista John Waters volle riprovare l’odorama nel suo film Polyester, utilizzando dei più semplici cartoncini impregnati di essenze che ogni spettatore doveva grattare e annusare durante la proiezione. Negli ultimi anni l’odorama è stato rilanciato soprattutto dall’azienda spagnola Olorama. E magari vi è già capitato di assistere in un cinema alla proiezione di un classico come Grease, con l’aggiunta di profumi. Quello che qui sembra soprattutto un gioco, nell’Internet dei sensi rischia di trasformarsi in una rivoluzione epocale che potrebbe cambiare in maniera radicale il nostro rapporto col mondo e con le cose. E persino il nostro modo di relazionarci. Non solo di vederci e di ascoltarci ma anche di toccarci e persino annusare il mondo che ci circonda. © riproduzione riservata
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