Ormai da anni, in prossimità di ogni competizione elettorale, il termine populismo diventa protagonista. Recentemente l'ho notato diverse volte nei titoli di prima pagina e sempre come un segnale di allarme. Chi tenta di parlare direttamente al popolo, chi minaccia di riuscirci e di incontrare un immediato consenso viene considerato poco meno che un pericoloso nemico della democrazia.Quest'uso insistentemente negativo del termine populismo fa venire voglia di riabilitarlo. Dopotutto democrazia non significa altro che potere e sovranità del popolo, benché mediata da filtri rappresentativi e da tecniche di reciproco controllo dei poteri. Si tratta di una forma di governo che deve restare in equilibrio fra due opposti, dispotismo e anarchia. La paura del populismo sembra giustificata dall'appello diretto al principio della volontà popolare compiuto da un despota, o da eventuali spinte centrifughe che portano all'ingovernabilità.Resta tuttavia un punto fermo: benché regolata da norme, una democrazia deve interpretare più fedelmente possibile le esigenze della maggioranza trasformandole in volontà politica.Populismo non significa demagogia. Il primo è fiducia nelle qualità del popolo. La seconda è usare cinicamente argomenti emotivi per accecare gli elettori manipolando il loro bisogno di giustizia. Ma popolo non significa folla o massa o pubblico di spettatori e di consumatori. Popolo è l'insieme di coloro che svolgono fondamentali, indispensabili attività sociali, produttive e di servizio. È anche vero che occasionalmente il popolo si manifesta come massa, folla, pubblico demagogicamente manovrabili. In Occidente le due maggiori tradizioni, quella greco-latina e quella cristiana, avvertono che un pubblico o una folla possono approvare la condanna a morte di Socrate, chiedere la crocifissione di Gesù e divertirsi ai massacri del Colosseo.In una democrazia, movimenti e partiti devono essere comunque responsabilmente populisti, parlare a tutti e ricordare che la più diretta e quotidiana esperienza della vita sociale è quella che ne ha chi la vive senza la protezione di privilegi e poteri speciali.
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