Politiche Ue, è allarme sui tagli
sabato 5 novembre 2011
L'Italia non ha solo «l'alta economia» come tema con cui confrontarsi con l'Europa. In gioco c'è anche la nuova Politica agricola comune (Pac) che significa risorse fresche per continuare a far vivere l'agricoltura, che ormai non produce solo alimenti, ma anche corretta gestione del territorio e del suo equilibrio idrico. Su questi argomenti, tuttavia, il nostro Paese deve fare i conti con risorse scarse e richieste alte, oltre a un metodo politico che non va a genio ai veri agricoltori, ma anche con un'eredità scomoda da gestire.
Che soldi ve ne fossero pochi lo si sapeva già, ma a suscitare l'ultimo allarme è stata la proposta di riforma della Pac presentata dalla Commissione europea che sembrerebbe tagliare le risorse destinate al nostro Paese in maniera davvero eccessiva. Per le politiche di mercato, infatti, l'Italia perderebbe ben 1,4 miliardi di euro dal 2014 al 2020, e un ammontare annuo a regime pari a 240 milioni di euro rispetto al 2013. A conti fatti, l'Italia perderebbe meno fondi solo rispetto a Malta, Olanda e Belgio, ma molti di più rispetto a Francia, Germania e al resto dell'Unione Europea. Secondo la Coldiretti, «l'Italia paga da sola quasi un terzo dell'intero ammontare di risorse destinate alla convergenza dei nuovi Paesi entrati nell'Unione».
Il problema, tuttavia, non è solo l'ammontare dei fondi, ma anche il metodo di distribuzione. Stando ai coltivatori, «la proposta di riforma della Politica agricola varata dalla Commissione Europea premia chi ha tanta terra e non ci fa niente». Il motivo è tecnico. Invece di definire gli agricoltori attivi in base a quello che effettivamente fanno, pare che il testo dell'Ue li definisca solo in base alla quantità di aiuti che ricevono. Si premierebbe così la proprietà della terra e non il suo uso, la rendita e non il reddito da lavoro e d'impresa.
Un passaggio che non va giù ai coltivatori, che attribuiscono quanto sta accadendo anche a cause storiche e politiche. Quanto raccogliamo oggi di negativo, sarebbe il risultato, infatti, «di una storica assenza dell'Italia nelle sedi comunitarie nei momenti in cui si prendono le decisioni importanti». Una spiegazione che purtroppo ha molto di verità e che deriva anche da un metodo di lavoro, quello europeo, che non è propriamente quello italiano. In Europa si è abituati a decidere con largo anticipo, in Italia gioca spesso la fantasia, ma anche l'improvvisazione. Questione di credibilità, forse, anche in campo agricolo oltre che in quello politico-economico generale.
Le organizzazioni agricole, in ogni caso, sono pronte a dare battaglia per tentare di capovolgere la situazione. In ballo, stando ai calcoli dell'organizzazione dei coltivatori, ci sarebbero a conti fatti circa 6 miliardi di fondi comunitari all'anno per i prossimi sette anni, ma, soprattutto, il futuro di oltre 17 milioni di ettari di terreno coltivato. Troppo per non provare, almeno una volta, a non improvvisare.
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