L’ agroalimentare italiano funziona sempre meglio. Anche se, certo, molto può ancora essere migliorato. Lo dice l’ultimo rapporto Ismea che sottolinea i due tratti più importanti: una maggiore apertura internazionale che ha favorito i rapporti commerciali con l’estero e una più solida struttura produttiva e logistica che ha alzato il grado di autonomia delle forniture rispetto ai fabbisogni alimentari. Per questo, gli italiani vedono sempre di più nell’agricoltura
e nel l’agroalimentare due settori promettenti per il futuro.
Uno degli indicatori chiave della ricerca
è il tasso di approvvigionamento generale del settore agroalimentare italiano, inteso come rapporto tra il valore della produzione interna e quello dei consumi, che nel complesso si è attestato, nel 2023, vicino al 100% (99,2%). Il dato – viene sottolineato - è frutto, tuttavia, di situazioni differenziate a livello di singoli comparti e prodotti. È qui che emergono le difficoltà. I ricercatori dell’Istituto spiegano come la compresenza di un’agricoltura deficitaria di alcuni prodotti e di un’industria alimentare orientata all’esportazione determini situazioni di significativa dipendenza dall’estero in alcune filiere per l’approvvigionamento di materie prime da trasformare in prodotti caratteristici del made in Italy. Una tendenza che si è accentuata negli ultimi anni di pari passo all’aumento della capacità di penetrazione sui mercati esteri dell’industria alimentare e alla contestuale minore disponibilità di materia prima nazionale a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici.
Cosa significa tutto questo? Che alcune filiere si ritrovano ad essere più vulnerabili a fattori geopolitici, climatici e sanitari che influenzano le catene di fornitura, soprattutto quando il tasso di approvvigionamento è basso e la provenienza delle importazioni è fortemente concentrata o legata a paesi lontani e a rischio. Ismea quindi elenca i primi dieci prodotti importati dall’Italia: caffè, olio extravergine d’oliva, mais, bovini vivi, prosciutti e spalle di suini, frumento tenero e duro, fave di soia, olio di palma e panelli di estrazione dell’olio di soia. Il grado di autosufficienza dell’Italia per questi prodotti varia dallo 0% nel caso del caffè e dell’olio di palma a oltre il 60% nel caso dei prosciutti, ma sono mais e soia, ingredienti di base dell’alimentazione zootecnica, i prodotti che, secondo l’analisi di Ismea, presentano le maggiori criticità in termini di approvvigionamento. Detto in altre parole, la forza dell’agroalimentare può essere messa a rischio dalla sua debolezza in alcuni filiere cruciali.
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