Le cerbottane, le corde per saltare, le spade di legno, le collezioni di tappi, le fionde, gli aquiloni, il gioco dell'oca, skateboard e tirassegni, bussole e calamite e ogni genere di giochi e giocattoli da usare, montare e smontare, rompere e aggiustare, avranno un futuro? Esistono più? Per giocare i bambini usano più le mani? Scendono giù in cortile, si incontrano per la strada? Usano le braccia e le gambe, il senso dell'orientamento e la valutazione delle proprie forze per saltare, inseguirsi, afferrare e schivare? Che cosa sanno degli ambienti naturali, di un prato o di uno stagno, li esplorano, li osservano? Ho sentito anni fa una madre urlare al suo bambino: «Non toccare la terra!». Non ho potuto fare a meno di allargare quell'idea e quella fobia: era una madre che avrebbe preferito che il figlio non toccasse mai terra, non avesse rapporti con il pianeta Terra… Il fatto è che giocando con la materia si entra in rapporto con la realtà. La materia non ci ubbidisce, ci resiste, chiede pazienza. Bisogna conoscerne le qualità per manipolarla, modellarla, evitarne le insidie, tutto ciò che è reale comporta rischi. Nelle scuole elementari e medie ci sono o ci dovrebbero essere un laboratorio artigianale, un piccolo orto, un giardinetto da curare, una piccola officina. Abbiamo portato i nostri figli a fare nuoto, ginnastica ritmica, danza, judo, equitazione. Bisognerebbe cominciare invece ad affidare ai bambini l'ordine della propria stanza e della propria aula scolastica, o la selezione dei rifiuti…Leggo invece sui giornali che per Natale trionfa il regalo tecnologico, il babytablet per i piccoli con cui giocheranno anche i grandi. Giocattoli che educano a pensare che il mondo fisico non esiste e che basta un tocco in punta di dita per fare miracoli. Giocattoli che non si possono smontare e rimontare, guai a provarci. Non invecchieranno in una soffitta. Semplicemente spariranno nelle discariche, senza che nessuno mai ne avrà la minima nostalgia.
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