Esattamente un anno fa, con Adam Smulevich giravamo – ancora si poteva – per i licei, i circoli e le librerie per parlare del nostro libro Un calcio al razzismo. Venti lezioni contro l'odio (Giuntina). Il 27 gennaio 2020, ero al Liceo Classico Parini di Milano per un incontro sulla “Memoria” promosso dal prof “storico di cuoio” Pasquale Coccia e i suoi studenti. Uno di loro, Arthur, a un certo punto prese il microfono e raccontò la sua storia che commosse tutti quando concluse amaro: «Mi hanno discriminato, perché sono ebreo».
Il Giorno della Memoria, in questo Paese di smemorati, è appena passato, mentre le «parole dell'odio» non passano mai di moda, imbrattano muri e inquinano l'etere. E mentre qui da noi la politica è svilita a chiacchiera da bar sport, è lo sport più seguito, il calcio, che alza e aizza il dibattito “politico”. Così, dopo il “Messaggero” che lo ha stanato, un po' tutti i giornaloni e giornalini hanno calcato mani e piedi sul «pronipote del Duce». Romano Benito Floriani Mussolini, ormai passato alle cronache come Mussolini jr, è un terzino, «destro ovviamente» (battuta regolare dei maniaci social) della Primavera della Lazio, la società del patron Claudio Lotito, unico presidente di Serie A ad aver pagato gli stipendi in anticipo.
Ma torniamo all'osservato speciale Floriani Mussolini. Il ragazzo che porta i nomi di battesimo del nonno jazzista, Romano e del bisnonno fondatore del Pnf, Benito, pare abbia le carte in regola per sfondare nel calcio che conta. Per ora, oltre a studiare al St George British School di Roma (il bisnonno stramalediva gli inglesi) sogna di «diventare un calciatore professionista». Glielo auguriamo. Ma non sarà facile, perché da questo momento avrà tutti gli occhi puntati, soprattutto su quel cognome, difficile da stampare nel retro della maglia. Specie quella della Lazio, dove già chi la tifa (come il sottoscritto) deve sempre giustificarsi, «sì sono laziale, ma non fascista». Calcare i campi che contano con quel cognome, vuol dire alimentare non solo la “nostalgia Chinaglia” ma ingraziarsi le simpatie delle orde balorde razziste e antisemite: come quelle che tempo fa in una figurina che ha fatto il giro del mondo “vestirono” con la maglia della Roma Anna Frank. Al contempo, esporre il cognome Mussolini in quegli stadi e quelle Curve dove invece sopravvive il mito di Che Guevara o si cantano le canzoni di Francesco Guccini (come fa il difensore Paolo Faragò, n. 43 del Bologna, in onore della gucciniana Via Paolo Fabbri 43) vuol dire innescare una palla avvelenata dalle stesse «parole dell'odio», in direzione ostinata e contraria. Come se ne esce? In questi casi mi rifugio in corner, sognando. Sogno ancora un «partigiano come Presidente», canta Toto Cutugno. La mia generazione quel Presidente, Sandro Pertini l'ha visto esultare da primo cittadino e tifoso italiano nella notte Mundial di Spagna '82 e poi giocare a scopone sull'aereo – con Bearzot, Causio e Zoff, che con gli altri azzurri tornavano a casa da campioni del Mondo. Ma il mio campione del mondo resta Pertini, che prima di salutarci disse: «Sono pronto a difendere con la vita chi non la pensa come me, ma il fascismo lo combatto perché è l'antitesi delle vere fedi politiche, perché opprime tutti quelli che la pensano diversamente».
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