Mi arrabbio, un giorno, con una politica che di fronte a una delicata questione etica, anzi bioetica, si tiene elegantemente in surplace: ehm, ci sto ancora riflettendo; la penso così, ma in parte la vedo anche cosà. Non l'et-et della saggezza, ma quello dell'opportunità.
Gliene ho dette quattro, me ne dispiaccio, mi scuso, non si fa. Il mio carattere è quello che è. Il fatto è che mentre tu sei lì che pensi e ripensi il mondo soffre.
Tenere il punto contro il pensiero unico, la grande battaglia politica di oggi, comporta la capacità di sopportare un certo dolore. Non c'è proprio niente da guadagnare, almeno nell'immediato. Si perde consenso, si perde popolarità, si perdono amici, puoi sentirti molto sola. Nella fattispecie della politica si possono perdere anche voti, poltrone ed emolumenti. Si tratta di un'attività in perdita secca.
Che cosa si guadagna, allora? Non so, mi pare niente, in certi giorni di scoramento. E invece no. Liberarsi dalla minuta ragioneria del dare-avere e del qui-e-ora, tenere il tuo sguardo libero, all'orizzonte; correre il rischio di fallire, comunque correre!
Il guadagno sta nel senso di una vita che tenta di essere degna, che con tutti i suoi limiti ci sta provando, una vita che serva a qualcosa, e a più di qualcuno.
Lo dico proprio in questo giorno di sofferenza.
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