Dal 2 al 24 novembre si è tenuto a Cordoba, in Argentina, il Congresso della vita religiosa di America Latina e dei Caraibi. Questo evento è stato dedicato a riflettere e condividere sia le speranze che rafforzano il cammino dei religiosi sia ciò che sfida la loro vocazione a essere “sentinelle della speranza”. Una metafora che indica una vigilanza costante. Essere sentinelle significa assumere il ruolo di custodi del “benvivere” e della dignità degli altri, attraverso l’arte dell’ascolto e dell’accompagnamento di chi si trova in situazioni di sofferenza. Questo lavoro contribuisce al processo di trasformazione personale e collettiva, perché restituisce speranza e apre la strada a futuri possibili.
Ogni giorno è stato vissuto come un’immersione in una ricchezza di prospettive che hanno offerto diverse finestre di comprensione: sociologica, contestuale, psicologica, cristologica, ecclesiologica, profetica, pneumatologica e mistica. Questi sguardi si sono intrecciati con esperienze plurali, contemplazione in azione, liturgie significative e profonde conversazioni nello Spirito. L’atmosfera e stata piena di gioia e vitalità, ricca di espressioni artistiche, come canti, danze, celebrazioni e festeggiamenti, che hanno dato un tocco speciale all’evento.
La vita religiosa impegnata nella realtà del continente ha analizzato la complessa crisi che colpisce l’America Latina e i Caraibi. E ha evidenziato come le narrazioni escludenti promosse da alcuni politici – definiti “imprenditori della politica” – generino polarizzazione sociale, divisione tra i popoli e una crescente erosione della democrazia. Queste dinamiche non solo favoriscono la violenza collettiva ma minano anche la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Sono stati
inoltre identificati problemi strutturali come la disuguaglianza di genere, la concentrazione delle opportunità, la violenza contro le donne e l’ambiente, la migrazione forzata, il traffico di esseri umani e le crescenti reti di traffico di droga in tutto il continente. Questi fattori interconnessi rendono difficile la costruzione di un futuro sostenibile. In questo percorso è diventato fondamentale ascoltare e riconoscere coloro che sono stati storicamente esclusi o sistematicamente resi invisibili.
All’interno della vita religiosa si nota una diminuzione delle vocazioni e delle risorse, l’invecchiamento e quindi una minore capacità di rispondere alla missione. Il calo numerico – è stato detto – dovrebbe essere oggetto di riflessione sull’essere minoranza, per evitare l’inerzia istituzionale e seguire la voce dello Spirito che parla attraverso i segni dei tempi. Questa complessità è accresciuta dal cambiamento d’epoca, dai divari generazionali e dai media che stanno rapidamente cambiando il mondo.
Le riflessioni che hanno guidato il lavoro dell’incontro sulla vita religiosa nel continente si sono concentrate su alcuni aspetti chiave. In primo luogo è stata sottolineata l’importanza di un ascolto attento sia della Parola di Dio che della realtà circostante. È stato lanciato un appello a ritornare al kerigma, la fonte che rivitalizza la speranza, e a guardare la debolezza con occhi diversi, scoprendola come un’opportunità. Questo processo implica disimparare, de-centrarsi, osservare gli eventi con stupore e valorizzare la ricchezza offerta dalle diversità, che emancipano e arricchiscono la vita.
È stato detto che la sinodalità, costitutiva della Chiesa, ci invita a camminare insieme come Popolo di Dio, il che richiede una profonda conversione negli ambiti dell’identità, delle relazioni, dell’organizzazione e della rete con gli altri. È stato sottolineato che la sinodalità è «il miglior contributo che la Chiesa può dare alla società», nella sua missione di evangelizzare e di essere evangelizzata. È stato sottolineato che la vita religiosa diventa sentinella di speranza quando abbraccia la sua vulnerabilità e riconosce la debolezza come un dono dello Spirito. Ciò implica la riscoperta della bellezza dell’incontro, la condivisione dei doni e dei carismi e il recupero della capacità di sognare insieme, sia a livello personale che comunitario, allo scopo di costruire il Regno di Dio, soprattutto a fianco dei più poveri. In questo contesto, la vita religiosa è stata invitata a tessere alleanze con i laici, le altre congregazioni, organizzazioni e istituzioni, promuovendo la reciprocità di doni, carismi e ministeri. Questa prospettiva sfida i religiosi a intraprendere un rinnovamento strutturale e relazionale, aprendo strade per l’ascolto reciproco, il discernimento profondo e la corresponsabilità attiva nella missione della Chiesa nel mondo, andando verso una comunità più inclusiva. L’evento si è concluso ricordando che ogni persona è speranza, intonando “Chi ha detto che tutto è perduto? Io vengo a offrire il mio cuore”.
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