«Èun grande onore essere sulla Luna a rappresentare non solo gli Stati Uniti, ma gli uomini di pace di tutte le nazioni, gli uomini con una visione del futuro...». È il 20 luglio 1969, 22,30 ora italiana. Cinquant'anni fa, tra poco. Neil Armstrong è stato il primo uomo a sbarcare sulla Luna. Seguito dal suo compagno Aldrin. Hanno camminato, un po' gattonando, hanno infisso a fatica, dato il suolo sabbioso, la bandiera a stelle e strisce. Va in onda una conferenza stampa, il presidente Nixon elogia l'impresa e gli astronauti. Nixon non ha alcun merito in quella magnifica avventura, sognata da noi umani sin dalle origini, voluta, sostenuta, profetizzata da John Kennedy, che - in un discorso in cui la politica della polis greca si fonde con la mistica - aveva assicurato che gli americani sarebbero giunti sulla Luna, e ritornati, incolumi, prima della fine del decennio. Decennio del Sessanta, quello in cui moriva assassinato, John Kennedy, non il suo sogno e la sua profezia. Scommessa azzardata, avrebbero commentato gli scienziati della Nasa: ma era una visione. A Nixon, che non ha meriti nell'impresa, ma certo ne gioisce, da presidente americano, l'astronauta Armstrong risponde che non ha toccato il suolo della Luna come americano, ma come uomo, a nome di tutti gli uomini che cercano la pace e sono capaci di sogno.
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