«L'uomo è un roditore, modifica ogni cosa. Lo sfregio del lavoro umano è visibile sull'opera divina. Per l'uomo, l'impossibile è una frontiera che arretra sempre. Egli replica all'infinito scavalcandolo. L'uomo dà l'assalto all'infinito». In pieno Ottocento Victor Hugo ribadisce un'accusa che i poeti e scrittori più avveduti sin dal rinascimento rivolgono all'uomo occidentale (solo quello conoscono): il tentativo di sostituirsi all'infinito. Dal Dottor Faustus di Marlowe al Faust di Goethe, fino al terribile Hyde di Stevenson, grandi autori sottolineano la propensionenevrotica dell'uomo a sostituirsi a Dio, nel nome di una scienza che invece è nata per danzargli intorno e interpretarne ogni ricamo. Efficace la definizione che Hugo ci propone dell'impossibile come di una frontiera che arretra sempre: nel frattempo l'uomo dimentica che è mortale, che la morte è certa, e quindi varrebbe la pena di giungere alla sua soglia essendosi divertiti un po' di più: vale a dire avendo accettato un po' di più il mistero, l'ignoto, l'impossibile. Come accade in Leopardi, che non trova nulla di ulteriore, nell'infinito, non intravede una nuova sponda oltre le sue brume, ma vive fanciullescamente e virilmente la percezione di esserne posseduto. Di essere parte del mistero, comunque.
© Riproduzione riservata