Parole dure di Gesù che contengono la tenerezza
giovedì 22 agosto 2024
XXI Domenica del Tempo ordinario – Anno B In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. [...] Ci sono parole dure, parole dalla scorza tanto resistente da non riuscire ad aprirle per estrarne il succo, come mandorle protette da un guscio invulnerabile. E arrivano, queste parole, come un sasso lanciato addosso, di cui si avverte solo la ferita che lascia sulla pelle. Nascosto e protetto è il senso, da lavorarci con dolorosa fatica o con amore. Ci sono colpi duri, se vuoi seguire Dio, colpi duri come quelli che spezzano la conchiglia per estrarre la perla, colpi che fanno cadere il fiore per aiutare il frutto a nascere, colpi che inchiodano alla croce per aprire alla profondità e alla passione del vivere. Gesù aveva parlato del suo farsi cibo per tutti e proprio questo era incomprensibile per i Giudei, che si immaginavano un Dio inaccessibile, potente e glorioso, non certo un Dio tanto intimo da diventare linfa nascosta. E quando l’annuncio del Maestro si allontana così tanto dalle mie convinzioni tutto diventa duro, oscuro, lontano: perché amare i nemici? Perché porgere l’altra guancia? Possibile che i ladri e le prostitute mi precederanno nel regno dei cieli? Perché spingere il cuore ad aprirsi su questa vertigine? Mi accorgo allora che la durezza è nel mio cuore che non riesce ad aprirsi alle Tue parole di tenerezza, che si ostina a volerti costantemente plasmare a mia immagine o a tentare di ridurti al mio piccolo e meschino tornaconto. Cosa avrei fatto se fossi stato tra loro in quei giorni? Da che parte sarei stato? Molto più facile voltare le spalle e tornarsene a casa, con appena un po’ di nostalgia per quelle parole così dolci, ma pure così capaci di scavare abissi. E Tu cosa hai provato nel vedere i discepoli, quelli che già da un po’ Ti seguivano ovunque, abbandonarti così? Hai visto come siamo fatti? Subito pronti a riconoscerti per un tozzo di pane da mettere sotto i denti, ma subito pronti anche a rinnegarti quando quel pezzo di pane mette in crisi la nostra vita. Me lo immagino come li guardavi mentre si allontanavano e si facevano via via più piccoli sulla strada. E il tuo sguardo ora si posa sui dodici, su quel gruppetto scalcagnato di pescatori che ti sei scelto, ma che non vuoi rendere schiavo: «Volete andarvene anche voi?» E c’è un attimo in cui tutto sembra fermarsi, un attimo, tra la tua domanda e la risposta di Pietro, sospeso come quando sta per accadere un miracolo. I tuoi occhi innamorati mi guardano, aspettano. Leggono nei miei occhi lo smarrimento, il disorientamento: se cerco la vita dove mai potrei andare? Lo vedi, non ho che domande per Te e solo una piccola, piccola fiducia. (Letture: Giosuè 24,1-2a.15-17.18b; Salmo 33; Efesini 5,21-32; Giovanni 6,60-69) © riproduzione riservata
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