Parole che rispettano (e 200 volte grazie)
mercoledì 13 novembre 2019
Lunedì, nella Sala delle Colonne del Palazzo Comunale di Torino, la sindaca Appendino e il sindaco di Milano Giuseppe Sala, hanno sottoscritto il "Manifesto della comunicazione non ostile", una carta che elenca i dieci princìpi di stile utili a migliorare, verrebbe dire a qualificare, il comportamento di chi comunica attraverso la Rete. Un'idea e dei consigli molto concreti che invitano a un impegno di responsabilità condivisa e che vogliono rendere la Rete un posto accogliente e sicuro per tutti.
Al punto numero uno di questa carta costituente della comunicazione responsabile c'è una sentenza: «Virtuale è reale. Dico e scrivo in Rete solo ciò che ho il coraggio di dire di persona». Seguono cinque regole che sottolineano l'importanza, la bellezza, la responsabilità della parola. Ci ricordano che le parole che scegliamo ci rappresentano, raccontano la persona che siamo, danno forma al pensiero, necessitano di ascolto e di tempo per poter essere scelte e sono un ponte: avvicinano (o allontanano) dagli altri. Le parole, insomma, hanno sempre conseguenze, negative o positive, grandi o piccole che siano.
Le altre regole del Manifesto richiamano alla responsabilità del condividere (quante volte rilanciamo testi o immagini senza aver letto il testo che le accompagna!), il rispetto per le parole e per le idee altrui e il fatto che gli insulti non sono argomenti. Ultima, geniale, regola: «Anche il silenzio comunica. Quando la scelta migliore è tacere, taccio». I due sindaci hanno voluto dare un segnale rispetto alla comunicazione politica che, in un'escalation senza precedenti, ha negli ultimi tempi sdoganato un linguaggio fatto di aggressività, bassezze e violenza (impossibile, per onestà intellettuale, non far notare che la sindaca di Torino sia espressione di un movimento politico nato dai "Vaffa days" di dodici anni fa, ma ogni caduta sulla via di Damasco sia benvenuta!).
La splendida intuizione di dare vita a un movimento di opinione il cui scopo è quello di sensibilizzare contro la violenza delle parole, è di una associazione non profit di Trieste, capitanata da Giusy Russo, il cui nome è Parole O_Stili. L'idea viene declinata in diversi ambiti: quello della politica, della scuola, delle aziende, della pubblica amministrazione e, naturalmente, del mondo dello sport. Arginare un modello di comunicazione aggressivo e violento sembra oggi una battaglia utopica, ma proprio per questo esercita un fascino (e un senso di urgenza) senza precedenti. Soprattutto perché, se vale ancora la buona vecchia regola dell'esemplarità, nessuno di noi è senza peccato, ma potremmo riuscire a fermarci prima di scagliare la prima pietra. Per esempio, evitando di andare a chiedere opinioni a esperti di lettura del labiale per capire ciò che Cristiano Ronaldo avrebbe detto nel momento della sua sostituzione nel corso del match Juventus-Milan. Un piccolo esempio, ma di portata globale. Questo accanimento, questa ricerca del peggio, questa attrazione fatale verso lo squallido deve conoscere un limite e quel limite, probabilmente, siamo proprio noi, che con le parole lavoriamo, a doverlo segnare.
Ecco perché chiudo questo pezzo con un profondo ringraziamento a questo quotidiano e al suo Direttore che ha deciso di portare una riflessione laterale sullo sport, nelle pagine delle Idee in apertura del giornale. Questa rubrica, iniziata nel dicembre 2015, conta oggi il duecentesimo articolo pubblicato. Grazie ad "Avvenire" e grazie a voi lettori che spesso mi manifestate il vostro gradimento per queste riletture del mondo sportivo che necessita, oggi più che mai, di parole non ostili, di buoni esempi e di una certa dose di ottimismo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: