Il Parmigiano Reggiano a chi non può permetterselo. Non è una trovata pubblicitaria, ma una misura di mercato che si trasforma in una attenzione a chi per davvero è in condizioni economiche critiche. Accade anche questo nell'agroalimentare italiano che, fra l'altro, sta vivendo un periodo di inaspettata crescita e di ulteriore trasformazione del suo assetto produttivo.
Circa 41mila forme del principe dei formaggi italiani (l'1,4% della produzione annua, 16 milioni di euro di valore), saranno dunque distribuite agli indigenti attraverso 172 enti caritativi del Centro e del Nord Italia. L'operazione è già avvenuta lo scorso anno ad opera dell'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), che in questo modo ritira una importante porzione di prodotto dal mercato. Il Consorzio del Parmigiano, interverrà con un fondo da 480mila euro per i produttori che consegneranno il formaggio. Il doppio intervento Agea-Consorzio, quindi, produrrà due effetti: soccorrere chi non si può permettere prodotti di alta qualità e sostenere il mercato. Che è poi ciò che serve, e non solo per il Parmigiano Reggiano.
Il comparto agroalimentare, infatti, sta inanellando una serie di numeri positivi che indicano segnali di crescita importanti, che devono essere assecondati. A sommare tutto è l'andamento del valore aggiunto che, secondo Confagricoltura, ha invertito la tendenza, almeno nel primo trimestre di quest'anno. L'aumento è stato dello 0,5% rispetto al trimestre corrispondente del 2009. Una variazione positiva che non si registrava dalla fine del 2008.
E non basta, perché, la crescita del valore aggiunto è stata del 3,8% rispetto al trimestre immediatamente precedente. Dati importanti, dunque, che consolano gli imprenditori agricoli ma che non compensano ancora le enormi perdite subite negli anni scorsi. Dal 2004 ad oggi, fa notare l'organizzazione agricola, il valore aggiunto delle campagne è diminuito di oltre sette punti percentuali ed è passato da 30 a 28 miliardi di euro. In ogni caso, l'agricoltura sembra riprendere vigore. Anche se ancora una volta dovrà cambiare pelle. Ad indicarlo sono non solo le nuove produzioni e attività in cui le imprese agricole sono impegnate, ma anche la crescita dell'efficienza produttiva e, purtroppo, la perdita di terreno che obbliga a scelte gestionali diverse. Secondo alcuni recenti calcoli compiuti da Agriturist, per esempio, ogni giorno «scompaiono quasi 1000 ettari di suolo destinato all'agricoltura: produzione agroalimentare, turismo ed ambiente». Detto in altre parole, in 25 anni fra il 1982 e il 2007 sono stati persi 3,1 milioni di ettari di superficie agricola utile (Sau) e addirittura 5,8 milioni di ettari di superficie agricola totale (Sat). Parte di questa terra sottratta all'uso agricolo è stata convertita in bosco; ma 1,8 milioni di ettari sono stati «mangiati irreversibilmente» dal cemento, al ritmo medio di 200 ettari al giorno. Il
sistema agroalimentare italiano, deve fare i conti anche con dinamiche di questo genere.
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