Il pallone dei campionati Europei di calcio rotola verso gli ottavi di finale che la nostra squadra nazionale giocherà a Wembley, sabato prossimo. Va tutto a gonfie vele per i nostri azzurri: trenta risultati utili consecutivi sotto la gestione di Roberto Mancini, tre vittorie nel girone di qualificazione, nessun goal subito e tanto entusiasmo intorno a una squadra che non vedevamo nelle fasi finali di una grande manifestazione da cinque anni.
Si percepisce la compattezza di un gruppo, magari senza nomi straordinari dai quali essere "dipendenti", ma capace di interpretare il gioco del calcio come un fatto corale. Tutto perfetto, insomma? No. E mi si perdoni per questa riflessione, magari un po' fuori dal coro di entusiasmo. Un solo neo in questo inizio di Europeo perfetto: quell'immagine al calcio d'inizio della partita contro il Galles quando, su undici atleti, sei azzurri hanno deciso di portare il ginocchio a terra, mentre i nostri avversari compattamente partecipavano alla simbolica forma di sostegno nei confronti del movimento Black Lives Matter e contro ogni forma di razzismo.
In questo Europeo abbiamo visto inginocchiarsi squadre intere e arbitri, ma la nostra squadra nazionale non l'aveva mai fatto. In questa occasione, di fronte al gesto dei gallesi, forse senza avere alle spalle una riflessione collettiva sul tema, come succede in tanti dibattiti che nel nostro Paese sono ormai polarizzati, si è divisa a metà. Nessun giudizio per chi è rimasto in piedi e ha evidentemente scelto di esplicitare così il proprio pensiero, semmai un sentito grazie ad Andrea Belotti, Federico Bernardeschi, Rafael Tolói, Emerson Palmieri, Matteo Pessina e Federico Chiesa.
Era l'autunno 2019 quando fummo costretti a commentare i calciatori della nazionale turca protagonisti di un clamoroso gesto dopo un gol: un collettivo saluto militare all'operazione militare "Primavera di pace" che Erdogan stava conducendo contro i Curdi nel nord della Siria. Soltanto pochi giorni fa abbiamo visto immagini un po' inquietanti dallo stadio di Budapest dove giocava l'Ungheria, ben allenata sul campo dall'italiano Marco Rossi, ma dove sugli spalti trasudava un'atmosfera molto allineata alle posizioni del premier Orbán che ha chiesto «meno poteri» per il Parlamento Europeo e che ha definito «provocatorio» l'inginocchiarsi dell'Irlanda in un'amichevole pre-Europeo, proprio nella capitale magiara.
In questo torneo calcistico abbiamo visto Inghilterra, Galles, Belgio insistere con un gesto così semplice, chiaro e pulito nella sua immediatezza: dichiararsi esplicitamente contro ogni forma di discriminazione razzista, tema su cui abbiamo un enorme bisogno di non abbassare la guardia. Se un pezzo così importante della nostra società, il calcio, su un palcoscenico così importante come i Campionati Europei, ce lo ricorda dobbiamo esserne grati. Sarebbe stato bello vedere la nostra nazionale agire compatta, così come quando festeggia un goal. Non è successo. Rimangono un rimpianto e la possibilità di spiegare per coloro che hanno deciso di restare in piedi. Perché chi quel ginocchio lo ha messo a terra ha mostrato chiaramente da che parte sta. Un bell'esempio da seguire.
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