Mercoledì 8 novembre papa Francesco ha introdotto una nuova serie di catechesi all'Udienza generale, che «punterà lo sguardo sul “cuore” della Chiesa, cioè l'Eucaristia». Se avessi dovuto presentare in un sommario il suo discorso ( tinyurl.com/y9googxe ) avrei cercato, come ha fatto ogni vaticanista, di metterne in evidenza l'ossatura. La collocazione in primo piano di quei cristiani che sin dai primi secoli sono stati uccisi «perché celebravano l'Eucaristia» e del significato per noi della loro testimonianza. Il richiamo alla centralità del rinnovamento liturgico nell'insegnamento del Concilio Vaticano II e l'insistenza sul fatto che nella Messa è il Signore che si fa presente. Le esemplificazioni su come procederà nelle prossime catechesi, illustrando i diversi momenti della liturgia. La sottolineatura conclusiva dell'importanza di riscoprire «ciò che è l'essenziale» nei sacramenti.
Ma se avessi dovuto farci un titolo anch'io, come la gran parte dell'informazione religiosa online ( tinyurl.com/yabq4ddq ), lo avrei costruito su una delle tre «parentesi» aperte da Francesco, e in particolare su quella che, sia pure latamente, era la più «digitale»: la raccomandazione, decisamente ferma, a non utilizzare gli smartphone durante la celebrazione liturgica per scattare foto o girare video, perché «la Messa non è uno spettacolo». Parole che la maggior parte degli utenti avrà letto proprio attraverso uno smartphone: uno strumento al quale Francesco stesso, come è noto, non si sottrae quando qualcuno, a tu per tu, gli chiede un selfie. Ieri, alla presentazione del volume Il racconto di Francesco. La comunicazione del Papa nell'era della connessione globale, i curatori Lorusso e Peverini – ha riferito Alessandro Gisotti su Radio Vaticana ( tinyurl.com/y8vxmv38 ) – hanno descritto la capacità del Papa di «rimediazione», cioè di creare «un circuito semiotico che include il vecchio e il nuovo». Credo che all'Udienza generale di mercoledì scorso egli ne abbia dato l'ennesima prova.
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