Si sa che l'inglese è la lingua principale della Rete. Ad esempio, se si lancia la ricerca della stringa "uomo di Dio" su Google si ottengono 3 milioni di link da visitare, mentre se si lancia "man of God" dalla versione anglogona del motore di ricerca si ottengono 36 milioni di link. Ma questo non basta a spiegare il fatto che il tweet che papa Francesco ha postato sul suo account italiano domenica 13 ottobre alle 12.30 ( bit.ly/2Bfpjas ) abbia goduto "solo" di 4mila "mi piace" e 456 retweet, mentre lo stesso tweet, sull'account inglese, alla stessa ora ( bit.ly/2prgXJX ), si sia guadagnato ben 105mila "like" e 26mila retweet: una sproporzione davvero enorme. Anche perché il contenuto di quel tweet, in sé, non era tale da fare notizia: «Oggi ringraziamo il Signore per i nuovi #santi». Il segreto di un tale successo sta nell'hashtag #Saints, che ha immediatamente generato su Twitter il nome e soprattutto il simbolo della squadra di football ("americano", ovviamente) New Orleans Saints: un giglio, come quello della Fiorentina. Per una curiosa coincidenza Demario Davis, un difensore della stessa squadra, era stato protagonista nei giorni precedenti di un altro incrocio tra sport e fede cristiana, questa volta non casuale. Avendo indossato durante una partita una sorta di bandana con su scritto «Man of God», era incorso in una sanzione di 7mila dollari da parte dell'organismo che governa il campionato, essendo proibito inserire nell'abbigliamento agonistico «messaggi personali»; la sanzione era stata poi condonata e il giocatore aveva devoluto in beneficenza l'intera somma, più quella raccolta per lui dalla solidarietà di grandi e piccoli tifosi. Era inevitabile che nei commenti (qualche centinaio) riversati dai tifosi dei Saints sul tweet del Papa qualcuno legasse i due avvenimenti, ad esempio facendo indossare anche a Francesco la bandana con scritto
«Man of God». E come dubitarne.
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