Quando l'Inquisizione spagnola cercava i falsi convertiti, i cosiddetti «marrani», cioè quegli ebrei battezzati che mantenevano fede alle antiche pratiche religiose, non interrogava i sospetti su quella che era la loro vera credenza, sulla loro adesione alla fede nel Dio cristiano, ma su quanto facevano: su quello che mangiavano, su come seppellivano i morti e su altri aspetti della loro vita quotidiana. Questo perché gli inquisitori ben sapevano che l'ebraismo è una religione della prassi e non della fede, e che l'osservanza si esplica nella pratica dei rituali e nell'obbedienza ai divieti e non nella fede del cuore. Ed ecco i giudici chiedere alla servitù se le loro padrone marrane mescolavano la carne e il latte, come è proibito agli ebrei, e in che giorno della settimana si cambiassero la biancheria. Tutte tracce di una credenza nella «fede di Mosé» che erano poi discusse e valutate nei processi e che potevano rappresentare il discrimine fra il rogo e la libertà. Così, una vecchia donna è accusata di non mangiare carne di maiale. Accusa grave perché traccia inequivocabile di marranesimo. Ma lei nega e dice di farlo perché debole di stomaco. Alla fine confesserà il suo intento, quello di osservare la fede di Mosé. Ma sotto tortura. Qual è il vero dietro la traccia?
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