Mentre in Europa i prezzi al consumo della frutta sono diminuiti del 5% negli ultimi mesi, in Italia sono scesi solamente di un timido 2%. Intanto, quelli alla produzione per gli stessi prodotti sono crollati del 40%. È fra questi tre numeri che si giocano le sorti dell'ortofrutta italiana.
A puntare il dito sulla situazione di uno dei settori che una volta costituiva la punta di diamante dell'agroalimentare del nostro Paese, è stata Fedegari-Concooperative, che in una nota ha sciorinato un ragionamento che non lascia scampo. Per la frutta, a drastiche riduzioni nelle quotazioni all'origine, si sono contrapposti cali di appena qualche punto percentuale nei prezzi finali di vendita. I conti sono presto fatti: rispetto alla media comunitaria, l'Italia registra per la frutta un calo delle quotazioni significativamente più contenuto e meno rilevante rispetto agli altri Paesi produttori, prima di tutto la Francia che ha avuto un decremento addirittura del 12,4%. Per gli ortaggi la dinamica dei prezzi al consumo evidenzia un trend analogo, seppur più intenso.
Tra aprile ed agosto di quest'anno, a livello comunitario il calo è stato ancora più accentuato (-12% di media europea e -14% in Francia). Anche in questo caso, l'Italia ha evidenziato una sostanziale tenuta dei prezzi di vendita al dettaglio, segnalando un calo di appena -1,8%. Qual è la morale di tutto ciò?
Secondo Confcooperative è semplice: la sostanziale tenuta dei prezzi di frutta e ortaggi pagati dal consumatore finale non sembra riconducibile alla dinamica delle materie prime agricole. Anzi, se fosse così, i prezzi finali sarebbero dovuti scendere notevolmente. È ovvio, quindi, che i produttori agricoli delle cooperative " ma la posizione è comune per tutto il comparto " guardano ad «altre componenti che entrano in gioco nel percorso che porta alla formazione del prezzo al consumo: i costi di intermediazione, quelli dell'energia e dei servizi connessi, i costi sostenuti nelle fasi più a valle della filiera e i margini di profitto dei diversi operatori». Che, detto in altre parole, significa addebitare la forbice dei prezzi all'inefficienza generale delle filiere e al grande spazio che hanno determinati attori di queste oppure al ruolo minimo che hanno i produttori. Basta pensare, da questo punto di vista, che il grado di concentrazione dell'offerta produttiva del settore nel nostro Paese è ancora basso se raffrontato con altri Paesi europei e soprattutto con la relativa concentrazione della distribuzione moderna. Confcooperative fa notare che nel mercato Nord-Europeo, dove vengono indirizzate la gran parte delle esportazioni di frutta italiana, le catene distributive della Gdo commercializzano tra il 70% e il 90% del volume totale delle vendite di ortofrutticoli freschi. A fronte di tale concentrazione, le organizzazione dei produttori presenti in Italia arrivano a malapena ad aggregare il 40% dell'intera produzione frutticola e meno del 30% di quella orticola.
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