martedì 4 dicembre 2018
C'è una foto, tra le mille delle estati al mare, che mi è più cara. Il figlio maggiore a otto anni spinge il fratello di cinque, che su una sterrata impara a andare in bicicletta. Sono belli insieme, uno biondo e uno scuro come un mediorientale, intenti in quella comune fatica. (Manca l'audio in una foto, ma ricordo bene quante se ne dicevano intanto, quei due).
Fu un'impresa, insegnare a Bernardo a andare in bici. In cortile provava, cadeva, cadeva di nuovo, si arrendeva. Le ginocchia costellate di tagli, lui scuro in volto, come davanti a una prova decisiva. Una sera mi disse: mi vergogno, a cadere davanti agli altri bambini, in cortile.
Allora una mattina all'alba, era luglio, l'ho svegliato e l'ho portato sulla stradina dietro casa. Nessuno in giro. Lui è montato in sella, gli sono corsa dietro in una lunga spinta e gli ho gridato: «Ora vai!».
Lo rivedo sulla biciclettina verde che, finito l'abbrivio, spinge sui pedali, oscilla paurosamente, mette un piede a terra, esita ancora: poi, va. Sparisce dietro alla quercia, a una curva. Sarà caduto? Mi chiedo. Ma lui torna esultante, velocissimo, ora saldo in sella, radiosi gli occhi neri. «Ora vai!». Crescere un figlio è anche dare quella spinta, e incoraggiare a partire. E restare - magari, servi ancora? - ferma, paziente, ad aspettare.
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