Èil primo ricordo di cui ho memoria. Avrò avuto quattro anni. Mi svegliai nel lettone, sola. Era già notte, fuori. Non sentivo le voci dei miei. Mi alzai a cercarli, impaurita dal corridoio buio. In fondo alla casa, dalla porta a vetri zigrinati del salotto veniva una tenue luce azzurrina: tutti stavano guardando la tv. Io, la più piccola, mi ero addormentata, e avevano chiuso perché il rumore non mi svegliasse.
Rivedo netta, in una prospettiva dal basso, la maniglia della porta. E la mia mano che, neanche alzandomi in punta di piedi, ci arrivava. Fissai il chiarore dietro al vetro opaco. Pensai che la mamma e gli altri stavano vivendo senza di me, oltre quel vetro. Smarrita, scoppiai a piangere: subito mia madre aprì, e mi prese in braccio.
Ultimamente quella porta mi torna spesso in mente. La porta oltre la quale i miei vivevano un'ora senza di me, divisi, irraggiungibili, eppure vicini. Oggi mio padre, mia madre, e i miei fratelli se ne sono andati. Mi avete lasciata sola, li rimprovero. Ma il ricordo della tenue luce oltre il vetro opaco mi fa pensare che come allora loro siano separati da me, e tuttavia vicini, vicinissimi. Che forse basterebbe chiamare forte, e bussare con insistenza, perché mi aprissero. Perché mi abbracciasse mia madre: e io felice, in quella stretta ritrovata.
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