Un prezioso itinerario sapienziale è quello tracciato dalla poesia di Chandra Livia Candiani intitolata Una briciola. A una prima lettura, il componimento afferma qualcosa che può sorprenderci, perfino sconcertarci. Dice che «un po’ di paura ci fa da mantello, da riparo». Subito anticipando, però, che questa paura deve essere presente in dosi moderate: «Non troppa, solo un po’ (a noi che siamo briciole)». A cosa può servirci un grano di paura? Secondo la poesia, ad attraversare da soli il mondo grande, a tenere i piedi per terra, ad avere coscienza del limite, a osservare «in pace l’altro», a parlare – come fanno quelli che parlano da soli – con le altre creature, a renderci amabili con tutti gli inquilini di questa terra, ben coscienti di una fragilità condivisa, noi che sperimentiamo di essere – almeno in parte – una «creatura di fango / lasciata seccare al bordo / della notte». La poesia non fa, propriamente, un elogio della paura. Questo «un po’ di paura» può essere interpretato come un po’ di rispetto, di moderazione, di ritualità e di amore. In fondo, esorta a vivere con occhi svegli noi che, come dice Gesù, abbiamo occhi ma non vediamo (Mc 8,18). Così chiude la poesia: «Dai da mangiare agli uccelli / non dimenticarlo mai: / sei una briciola».
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