Nello Stabat originale di Boccherini dolore e speranza davanti alla Croce
domenica 5 marzo 2006
è un dolore intimo, estremamente composto e raccolto quello che avvolge la prima versione dello Stabat Mater di Luigi Boccherini (1743-1805); un sentimento di mesta afflizione, svelato con pudore e discrezione attraverso la dimensione cameristica di un adattamento musicale destinato alla sola voce di un soprano e all'accompagnamento
di un quintetto d'archi. Il compositore di Lucca lo scrisse nel 1781 ad Arenas de San Pedro, su richiesta dell'Infante di Spagna, Don Luis, ma non volle mai darlo alle stampe; lo riprese più avanti, ampliandolo nella struttura e nell'organico (che arrivò a comprendere due soprani, un tenore e un'orchestra d'archi). In quella rinnovata veste Boccherini lo pubblicò poi nel 1800 come opera 61, raccomandandosi di cercare sempre, durante l'esecuzione, di tendere alla "pura semplicità ed esattezza". E proprio a questi dettami si sono rigorosamente attenuti il soprano Sophie Karthäuser e il quintetto Les Folies Françoises nella loro interpretazione della versione originale dello Stabat Mater (cd pubblicato da Ricercar e distribuito da Jupiter), dando vita a una lettura di profondo spessore, che individua l'autentico assunto della partitura in un'aura di lirica spiritualità, intesa come poetica espressione dei "sacri affetti", che in questo caso sono quelli straziati della Madonna, in lacrime ai piedi della croce "dum pendebat Filius". I versi trecenteschi della celebre sequenza attribuita a Jacopone da Todi sono stati ripartiti dal compositore in undici distinte sezioni, in cui gli inserti strumentali si integrano perfettamente con le linee solistiche vocali, in un percorso che, tra cambi di atmosfera e di indicazioni agogiche, mira al progressivo coinvolgimento emotivo con la drammatica scena descritta dal testo; a partire dai languidi lamenti dell'iniziale «Stabat Mater» (Grave) e dalla richiesta implorante dell'«Eja mater» (Laghetto non tanto), passando per la plasticità belcantistica del «Virgo virginum» (Andantino) e il rigore contrappuntistico del «Fac me plagis» (Allegro comodo), per approdare alla fiduciosa serenità dell'episodio conclusivo, «Quando corpus morietur» (Andante lento), suggellato dalla trepidante e liberatoria invocazione finale: «fa' che all'anima sia donata la gloria del paradiso».
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