Londra, 2009 – Sotto a King Charles Street, dietro al Parlamento, le Cabinet War Rooms sono intatte: il gabinetto di guerra da dove Churchill guidò il Paese. In una luce artificiale livida, gli uffici e camerate delle dattilografe. Un cartello: «Fine and warm», «bello e soleggiato»: per ricordarsi, nel bunker sepolto, mentre le bombe incenerivano Londra, che fuori il cielo c'era ancora.La stanza da cui Churchill trasmetteva sulla Bbc i discorsi da leone ascoltati clandestinamente in Europa, è uguale; i microfoni lucenti ancora sulla scrivania. La Map Room è tappezzata di mappe ingiallite. Dieci telefoni neri in linea dai fronti, e sulle mappe centinaia di spilli colorati: ogni spillo, migliaia di uomini di eserciti amici e nemici. (Quello spillo là, verso il Don, era la Julia, era anche mio padre).Con i figli – silenziosi, in questo ipogeo di un altro mondo – riemergiamo nella Londra di oggi. Fra turisti di ogni paese, americani, tedeschi, dimentichi, lieti. Eppure, dice un figlio, commosso, «di qualcosa lì sotto avevo nostalgia».Di cosa? Di una immensa collettiva speranza, del colossale sforzo che permise lo sbarco alleato in Normandia. Di uno strenuo desiderio di libertà e pace: una cosa grande, che mio figlio a 14 anni avverte, e nella svagatezza dell'oggi non trova.
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