Negli ultimi giorni scorsi la Rete ha dato due segni di quanto nel mondo ispanofono stia salendo la febbre del tifo rispetto all’ormai imminente “Mundial” di calcio, alias “Coppa del Mondo Fifa Qatar 2022”, e di come tale febbre non prescinda dalla componente religiosa. Nel corso di un’ampia intervista raccolta da Mariano Dayan per “Olé” ( bit.ly/3UUP4na ), quotidiano sportivo di Buenos Aires, Lionel Messi dedica poche ma chiare parole ai rispettivi ruoli della scaramanzia e della fede rispetto alle prestazioni sportive: lui non si affida più di tanto a gesti scaramantici, né a promesse e “voti” (profani o sacri che siano), ma pensa, semplicemente, «che sia Dio a decidere, Dio sa quando è il momento giusto, qual è il momento giusto e cosa deve accadere. E sono sempre grato per tutto quello che mi è successo sia nel calcio sia nella vita». Per tornare a nominare Dio solo alla fine dell’intervista, sulle probabilità di successo della nazionale argentina: «…possiamo fare del nostro meglio e speriamo che Dio ci aiuti». Tanto è bastato per far entrare «l’aiuto di Dio» nel titolo dell’intervista, e per farla riprendere da “ChurchPop” con un titolo ancora più forzato: «Chi vincerà la Coppa del Mondo 2022 in Qatar? Messi: “Dio è colui che decide”». Gioca con la scaramanzia – quella dei tifosi – anche uno spot diffuso, in vista del “Mundial”, dalla birra argentina Quilmes, dal quale un post di María Claudia Arboleda, su “Catholic-link” (tradotto da “Aleteia” bit.ly/3O67Xl0 ), trae tuttavia spunto per una “libera” catechesi sulla differenza tra coincidenza e provvidenza divina, e sulla possibilità di parlare di provvidenza divina nello sport. L’autrice pone una serie di domande intorno alla neutralità di Dio rispetto alle competizioni sportive, lasciandole aperte: «Ma Dio ci ascolta quando preghiamo perché una squadra segni un gol? Non so rispondere. (…) Forse a molti queste domande sembrano superflue e banali, mentre altri, quando arriveranno in Cielo, chiederanno a Dio qual è la sua squadra di calcio preferita». Certo, quando questi interrogativi si spostano dalle battaglie sportive a quelle militari richiedono ben altra maturità teologica di quella che si palesa in questo post. Ma qui si sta parlando di calcio, e non è un mistero che davanti a una partita si torna bambini.
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