Nell'Europa dell'Est il vero Sessantotto arrivò solo nel 1989
venerdì 9 febbraio 2018
La parola comunismo, con il suo vario e ambiguo contenuto di teoria marxista e di sogno, di prospettiva politica e di utopia, ipnotizzò, confuse e accecò il Sessantotto dell'Europa occidentale. Si voleva, si credeva di volere il comunismo attaccando istituzioni e modi di produzione e di consumo di quello che in Italia chiamammo neocapitalismo e in Germania fu invece definito tardocapitalismo. Fosse nuovo o fosse vecchio, il capitalismo imperialistico (che mostrava il suo volto più aggressivo e devastante soprattutto nella politica estera americana in Vietnam e in America Latina) era un sistema rifiutato in massa da noi ventenni di allora. Tutta la cultura occidentale, dal 1789 francese al 1917 russo al 1949 cinese al 1959 cubano, con le aggiunte filosofico-artistiche di molti radicalismi autocritici della razionalità moderna al servizio del dominio e del potere, conquistò tre generazioni di intellettuali. Si criticò tutto, fuorché il comunismo marxista e nonostante la sua trasformazione, come spiegò Marcuse, in Soviet Marxism, in stalinismo che di fatto da decenni regnava in Russia e nell'Europa orientale. Nel Sessantotto tedesco l'antistalinismo fu più forte e consapevole: a chiarire le idee c'era la divisione della Germania e della stessa Berlino in due metà, una delle quali dominata dispoticamente dall'Unione Sovietica. A ricordarci un “altro” Sessantotto, quello europeo centro-orientale, dalla Cecoslovacchia alla Polonia avanguardie dell'antisovietismo, arriva ora un libro pubblicato da Donzelli, Il Sessantotto sequestrato a cura di Guido Crainz, con i contributi di Pavel Kolar, Wlodek Goldkorn, Nicole Janigro e Anna Bravo (pagine VI+202, euro 19,50). Soprattutto a Praga e Varsavia – come già nel 1956 in Ungheria–
emergevano movimenti di rivolta democratica contro il comunismo di Stato. Pretendere che queste rivolte fossero immediatamente anche capaci di proporre nuove forme di socialismo, si rivelò eccessivo. Erano lente e graduali rivoluzioni anticomuniste arrivate a compimento solo nel 1989 dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Per gli europei centro-orientali dire “rivoluzione” volle dire lotta contro il comunismo. Gli enormi e sanguinosi errori politici del marxismo-leninismo al potere in Russia dal 1917 non potevano essere perdonati. Come i giovani europei occidentali idealizzarono il comunismo, quelli dell'Europa orientale idealizzarono la democrazia. Sarebbe ora di riconoscere che le ragioni di questi ultimi erano più fondate. Il guaio è che in regime di capitalismo internazionale, per i governi la crescita economica viene sempre prima della democrazia sociale.
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