Herat, Afghanistan, aprile 2006 - Attorno alla caserma di Camp Vianini la città stasera è tranquilla. Nel cortile, strani, i peschi in fiore tra i blindati. Noi giornalisti in visita alle forze italiane ci raduniamo attorno all'ufficiale che ci ha scortato per l'Afghanistan, uomo silenziosissimo. Ma questa è l'ultima sera per noi a Herat, e il capitano Cavallaro si lascia andare. Storico per passione, ha scritto un libro sulla battaglia di Montecassino, e ancora adesso va a cercarne gli ultimi superstiti, per farsi raccontare. Nella notte che avanza, tiepida, il capitano rievoca quella lontana aspra battaglia, come ci fosse stato. E noi a ascoltare, affascinati, avvinti.Da un muro di cinta il bagliore giallo degli occhi di un dingo in cerca di cibo insinua una nota di inquietudine: forse questo è un deserto dei tartari? Dove si può solo aspettare. Poi, a notte fonda, lontano, un boato. Come qualcosa che bolla, sotto a una fragile pace.L'indomani torniamo in Italia. Tre giorni dopo l'Ansa riferisce di un attentato kamikaze a Camp Vianini. I due soldati afghani di guardia al portone sono morti: quelli che al mattino ci dicevano «ciao», in italiano. I tartari, infine sono arrivati. O forse già vegliavano attorno alla caserma? Come quel dingo dagli occhi gialli, silenzioso, appostato.
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