Trovo che la critica letteraria prodotta dagli scrittori sia spesso la più interessante, competente e leggibile, anche perché non si rivolge a un pubblico di studiosi ma a un pubblico più ampio, non specializzato, cioè all'ipotetico “lettore comune”. Lo stile critico dei narratori differisce tuttavia da quello dei poeti. Al narratore interessa di più la biografia degli autori, mentre il poeta è più attratto dagli aspetti tecnici e formali dei testi. È proprio pensando a questa diversità di mentalità e carattere fra narratori e poeti che nei Saggi di J. M. Coetzee ora pubblicati da Einaudi ho letto anzitutto quelli che riguardano il narratore e il poeta per eccellenza, cioè Defoe e Hölderlin. L'inglese Defoe si può dire che abbia inventato all'inizio del Settecento il romanzo moderno raccontando le storie di Robinson Crusoe, Moll Flanders e Lady Roxana. Hölderlin è il più puro e ispirato poeta lirico tedesco, in cui si incontrano fino a coincidere classicismo e romanticismo, culto della Grecia antica e futura utopia germanica. Da narratore quale è, Coetzee si sofferma molto sulla biografia di entrambi e sul rapporto fra questa e le caratteristiche della loro opera. Defoe, con la sua genialità pratica e l'inesauribile energia, sembrava più un estroverso uomo d'affari che un artista: sicuro di sé, giornalista, commerciante, agente segreto, finito due volte in carcere per bancarotta, era uno scrittore esuberante, trasandato ma proprio per questo capace di creare quell'effetto di realtà vera che provoca chi scrive come se parlasse, accumulando fatti e dettagli concreti. Hölderlin è l'esatto contrario. Non riuscì neppure a farsi accettare come precettore nelle case di famiglie agiate. S'innamorò della giovane e idealistica moglie di uno dei padroni di casa: un amore ricambiato ma impossibile che lo rese il sublime poeta che fu, pur essendo, anche, la tragedia della sua vita, quando la donna morì a soli trentaquattro anni. Con il suo eccesso di purezza mentale, la sua inettitudine sociale, il suo idealismo panteistico, Hölderlin finì per entrare in quella follia in cui trascorse, «inoffensivo e incurabile», i quarantanni di vita che gli rimanevano. Continuò a scrivere e poi a smontare e riscrivere anche le sue poesie più perfette... Hölderlin e Defoe: mai nella storia della letteratura realismo narrativo e idealismo lirico erano stati così distanti e inconciliabili.
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