«Non c’è più rispetto», canta Zucchero Fornaciari. E nel calcio spesso il rispetto è un optional. Uno che di solito il rispetto lo garantisce a giorni alterni, José Mourinho, lo ha preteso e non ottenuto dal suo collega del Feyenord, mister Slot (machine) che evidentemente non ha gradito il poker rifilato dalla Roma alla squadra ai quarti di finale. Giallorossi in festa per il passaggio alla semifinale di Europa League e il portoghese che invece di festeggiare ululava come un lupacchiotto: «Respect, respect!». Si è sgolato Mourinho negli spogliatoi quando Slot non gli ha ricambiato la stretta di mano che fa parte delle regole non scritte del fairplay, ma evidentemente l’olandese che di nome fa Arne non sa che cosa vuol dire risciacquare i panni in Arno. A proposito, complimenti anche alla Fiorentina semifinalista di Conference League, titolo che il collezionista di tituli Mourino ha conquistato
nel 2022 con la Roma superando sempre il Feyenord. Che Slot sia furioso perché ha scoperto che Mou e la Roma sono ormai le sue bestie nere? Nella Repubblica fondata sul pallone il nemico è ovunque. E il nemico giurato di mezza Italia è da sempre la Vecchia Signora, la Juventus. E anche su questo argomento il bipolarismo di Mourinho emerge. Dopo la sentenza del Collegio di Garanzia del Coni se ne è uscito con una delle sue frecciate velenose:
«Sono in Italia da tempo, non mi dice nulla. Da tempo dicevo di dimenticare -15, io pensavo uscisse alle 21 la sentenza. A me non cambia nulla». A prescindere dai 15 punti in più o in meno in classifica, che certo (in attesa dell’ultimo giudizio) fanno la differenza per Max Allegri e la sua squadra, a noi sfugge il criterio di valutazione di simili vicende. La giustizia sportiva ha delle ragioni che alla nostra ragione sfuggono e quando si va sul fronte della giustizia ordinaria, se di mezzo ci sono gli scandali della Repubblica fondata sul pallone, si entra quasi sempre nell’area di rigore dei misteri di Stato. Torniamo con i piedi per terra. Anzi ad argomenti terra terra, come l’intervista del Fatto al presunto Mourinho di serie C, tale Eziolino Capuano. Un personaggio che solo noi che mastichiamo calcio dai primi sei mesi di vita (grazie papà Mario per avermi fatto entrare in uno stadio a quell’età) possiamo conoscere e comprendere. Questo Oronzo Canà della panchina, attuale allenatore del Taranto, in tutte le piazze, specie quelle del profondo Sud, ha lasciato sempre un segno. E non tanto per le promozioni e i campionati vinti, la prima dalla D alla C con l’Altamura nel ’96, ma per il suo rapporto nudo e crudo con i calciatori ai quali non perdona orecchini e tatuaggi e ancor meno la marcatura a uomo dei loro procuratori. E fin qui ci siamo, ma quando ad Alessandro Ferrucci confessa di sentirsi un “Robin Hood del pallone” viene un po’ da ridere. A chi non conosce a fondo la storia di Eziolino ego fino, il ritratto che ne esce sembra quello di un piccolo eroe esemplare, un artista prestato al gioco del calcio che convinto dice: «Dipingo più che allenare». Povera patria che si alimenta di falsi miti. Non c’è più rispetto e non ci resta che piangere.
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