Il Museo di Capodimonte ha trasferito l’anno scorso 70 suoi capolavori al Louvre, un trasloco di Napoli a Parigi. Ho avuto il compito di scrivere per il catalogo dedicato all’occasione. Ho trattato il tema dei miracoli. Sono eccezioni, guarigioni inspiegabili, salvezze impossibili da pericoli, colpi di rara fortuna. Sono così fenomenali che il verbo che li annuncia, grida: si grida al miracolo. Anche in luoghi dove se ne producono molti, Lourdes per esempio, si tratta di casi unici. A Napoli esiste invece il miracolo replicato a scadenze fisse. Lo squaglio della reliquia sanguigna di San Gennaro, tenuta sotto vetro, deve prodursi nei previsti giorni. I ritardi sono mal tollerati e considerati segni di cattivo augurio dal popolo dei fedeli riunito per l’occasione. A Napoli il miracolo è iscritto al calendario. Altre sei reliquie sanguigne si aggiungono alle liquefazioni periodiche del santo principale. Questa concentrazione di miracoli unica al mondo fece dire a un visitatore del 1600 che Napoli era “urbs sanguinum”, città dei sangui. Non è un’esclusiva: la stessa definizione si trova riferita a Gerusalemme nel libro del profeta Ezechiele. Nello stesso libro trovo un verso che mi fa di nuovo riconoscere Napoli. Di Gerusalemme assediata il profeta scrive: «Questa città è una pentola e noi siamo la carne». Napoli è anch’essa marmitta per i suoi abitanti, piazzata presso il forno del Vesuvio.
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