Qualcuno tra voi magari si è chiesto: che fine ha fatto la storia, raccontata dal nostro giornale, sugli articoli di Avvenire innocui (uno era su uno studio della federazione dei carrozzieri sul costo di mantenimento delle auto) rimossi da Facebook perché dannosi? La piattaforma non solo non ci ha mai risposto ma non è nemmeno tornata sui suoi passi. Però nel frattempo è successo qualcosa di importante. Nick Clegg, Presidente degl Affari globali di Meta (la società che possiede Facebook, Instagram, Messenger, Threads e WhatsApp) ha scritto sul blog dell’azienda un articolo da incorniciare. Ecco un passaggio: «Trovare l’equilibrio tra consentire alle persone di far sentire la propria voce e garantire la loro sicurezza è qualcosa che nessuna piattaforma riuscirà mai a fare nel 100% dei casi». Andiamo avanti. «Sappiamo che quando applichiamo le nostre regole, i nostri tassi di errore sono troppo alti, il che ostacola la libera espressione». Segnatevi anche queste parole. Il risultato, come ha spiegato Clegg, è questo: «Troppo spesso contenuti innocui vengono rimossi o limitati e troppe persone vengono penalizzate ingiustamente». Ovviamente la questione è enorme e non riguarda solo i post di Avvenire o dei suoi lettori (in tanti ci avete segnalato che Facebook – e non solo lei – ha rimosso contenuti innocui ma non altri con bestemmie e/o video violenti). La questione riguarda la responsabilità. Per anni ci siamo battuti perché chi frequenta le piattaforme social e il mondo digitale fosse responsabile delle proprie azioni e delle proprie scelte digitali. E proprio per questo dobbiamo essere ancor più severi riguardo alla responsabilità delle piattaforme. Perché non può e non deve bastare dire «commettiamo troppi errori» perché una multinazionale miliardaria possa sentirsi assolta. Ma c’è di peggio. Dietro alle parole di Clegg alcuni giornalisti americani hanno visto un interessato mea culpa di Meta, arrivato dopo il recente incontro tra Trump e Mark Zuckerberg, Ceo del colosso digitale. Se così fosse, Meta non si stava scusando con noi utenti per averci «penalizzato ingiustamente», ma con i conservatori americani e anche con certi movimenti no-vax. Con i primi per avere cancellato alcuni post pro Trump, con i secondi per avere◄rimosso post sulla pandemia di Covid-19. Non prima che Zuckerberg avesse dichiarato alla Commissione Giustizia della Camera «che la decisione è stata influenzata dalle pressioni dell’amministrazione Biden». Come a dire: abbiamo solo fatto ciò che ci chiedevano. Non dobbiamo stupirci, Zuckerberg e Meta, come tutti gli altri giganti del digitale, cercano il favore del potere politico per ampliare i loro business. Eppure, l’altra sera, Clegg di Meta ha detto anche un’altra cosa importante. Che presto verrà estesa in tutto il mondo la possibilità da parte degli iscritti di controllare i contenuti politici (fino a ridurli a zero) su social come Facebook, Instagram e Threads. Sembra una cosa bella, ma lo è solo in parte. Perché il rischio è che, dopo avere penalizzato in maniera sempre più forte i contenuti giornalistici (con la scusa che possono dividere) la speranza di chi governa questi social è che ciò avvenga anche per la politica. Che ogni utente, cioè, tenga aperta la sua porta digitale solo ai contenuti con i quali è già d’accordo. Così, le discussioni, le liti e le contestazioni verso le piattaforme, si ridurranno notevolmente. E pazienza se con esse si abbasseranno anche la democrazia e il confronto. A Meta fra un po’ basterà dire: non era colpa nostra. © riproduzione riservata
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