Maria Mulas, la grande Milano si racconta allo specchio
giovedì 22 dicembre 2022

La sua mano con i segni del tempo accarezza dolcemente le scatole con i negativi e le stampe. Un patrimonio di migliaia di scatti che racconta una grande stagione di Milano, quella della fine del Novecento, e dei suoi protagonisti. Artisti, letterati, stilisti, attori, volti della Milano cosmopolita. Tutti sono passati davanti alla macchina fotografica di “Coda rossa”. Così era chiamata per la sua capigliatura Maria Mulas. Sorella di Ugo, formatasi sulla scia del fratello, ma con uno stile tutto suo, muovendosi inizialmente fra la pittura e la fotografia. Fra gli anni Settanta e Novanta diventa un punto di riferimento fondamentale della scena fotografica e artistica della città. Dal suo formidabile archivio emerge una sequenza altamente rappresentativa di personalità che incarnano molta parte della cultura italiana e del made in Italy. Solo per citarne alcuni Giorgio Armani, Gae Aulenti, Giorgio Bocca, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Dario Fo, Carla Fracci, Krizia, Vico Magistretti, Enzo Mari, Silvana Mangano, Marcello Mastroianni, Ottavio Missoni, Bruno Munari, Gio Ponti, Miuccia Prada, Ettore Sottsass, Giorgio Strehler, Ornella Vanoni, Lea Vergine, Gianni Versace, Andy Warhol. Tutti si mettono a nudo davanti all’obiettivo semplice ma magnetico di Maria Mulas. Oggi, 87enne, la grande artista conquista Palazzo Reale con la mostra (aperta fino all’8 gennaio, ingresso libero, www.palazzorealemilano.it) Maria Mulas. Milano, ritratti di fine ’900, promossa da Comune di Milano – Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dall’Archivio Maria Mulas, con la curatela di Andrea Tomasetig e il progetto artistico firmato da Leo Guerra e Giovanni Renzi (il catalogo è edito da Allemandi).

«Qual è il segreto del fascino dei suoi scatti?», si chiede Tomasetig nel suo testo narrante: «La naturalezza - risponde -, il modo di porsi dei personaggi, non in posa, ma estremamente sciolto. Maria si trovava a proprio agio e metteva a proprio agio. Faceva parte di quel mondo, dove raccoglieva stima, simpatia, affetto e a sua volta si rapportava con empatia a ciò che fotografava. È questo il suo segreto». E così «ha colto l’anima profonda, vera di Milano, che è una città non in posa, ma dinamica, al lavoro, la città delle arti e delle professioni e dell’imprenditoria più avanzata». Il racconto attraverso uno sguardo autentico: «Quando sono entrato per la prima volta nello studio milanese di Bruno Munari in via Colonna, l’artista era esattamente nel gesto di mostrare lieve i propri lavori. Mi è capitato nel tempo - conclude Tomasetig - di incontrare di persona altri personaggi esposti. I fotoritratti di Maria si sovrappongono spesso nel mio ricordo risultando più “veri”, tale è la loro forza icastica».

Autoritratto allo specchio, Milano, 1981

Autoritratto allo specchio, Milano, 1981 - © Maria Mulas

I ritratti degli altri. Ma anche i propri, gli autoritratti. La mostra si apre da una parte con un autoritratto a mosaico (tre sequenze di quattro momenti diversi) che gioca con il tempo, 1969-1979, e dall’altra con un suggestivo autoritratto allo specchio (1981) in dialogo con il ritratto del fratello Ugo della fine degli anni Sessanta. Come un tratto di identità, un imprinting di “famiglia”, per dire “noi, i Mulas”. «Il ritratto è un capitolo a parte nel lavoro fotografico - scrive Maria Mulas -. In quel caso c’è qualcuno che ti guarda e si guarda davanti. C’è un gioco di specchi. E l’immagine finale, quella che risulta scartando tutti gli altri scatti, è qualcosa che aspira ad essere il meglio del soggetto ma anche il riflesso di un’idea. In ogni ritratto si finisce per raccontare qualcosa di sé stessi. Ogni ritratto è anche un autoritratto».

Così scorrono i ritratti dei suoi soggetti, “spezzati” da due installazioni accompagnate dalle immagini dell’artista scattate dal nipote Lorenzo Barbieri Hermitte, la nuova generazione della famiglia Mulas. Come la meravigliosa Portami il tramonto in una tazza” (2022): Maria Mulas oggi, con i suoi colori, il suo estro, il suo carisma. Le sue mani, quelle che accarezzano il tempo fissato nei negativi. E la coda rossa, quella che chiude la mostra, come un sigillo di garanzia. La firma sul fotoracconto di una «grande stagione». In una Milano rimasta capitale della creatività, della moda, dell’editoria e del design, ma dove i sogni, forse, fanno più fatica.

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