Marc Gasol è un cestista spagnolo molto bravo, ma sportivamente condannato a essere il fratello minore di Pau, il numero uno assoluto, il più forte di sempre, tanto da meritarsi di essere considerato uno dei migliori stranieri della Nba e vincere due volte il titolo con i Los Angeles Lakers. Marc è rimasto il "fratello di..." fino a domenica scorsa, in realtà. Perché nello scorso weekend il Gasol giovane ha condotto i suoi Toronto Raptors alla vittoria del titolo, stabilendo così due record: portare al primo successo nella storia Nba una squadra non-statunitense e, insieme a Pau, diventare la prima coppia di fratelli capaci di vincere il titolo anche se, grazie alla nazionale spagnola, i due avevano già potuto sfoggiare ai pranzi di famiglia un titolo mondiale e cinque medaglie olimpiche: entrambi l'argento a Pechino 2008 e Londra 2012 e, Pau, il bronzo di Rio.
Marc, il fratellino neo-campione, nel 2015 firmò un contratto quinquennale da 110 milioni di dollari con i Memphis Grizzlies che si è interrotto l'anno scorso, non oso immaginare a quali condizioni, per permettergli di approdare proprio a Toronto. Insomma, fino qui la storia di un campione straordinario, ma nulla di più. A sparigliare le carte ci ha pensato lui stesso, l'estate scorsa. Senza sbandierarlo ai quattro venti, Marc Gasol ha deciso di passare parte delle sue vacanze in un modo alternativo: nella sua Barcellona, non a caso città portuale, ha conosciuto Oscar Camps, fondatore della Ong Proactiva Open Arms, invitandolo a tenere un discorso d'ispirazione alla sua squadra. Missione riuscita a giudicare dai risultati sportivi, ma soprattutto dal fatto che l'estate scorsa il campione plurimilionario ha deciso di salire a bordo della nave Open Arms, impegnata nel Mediterraneo a salvare vite umane e non per qualche foto di rappresentanza, ma proprio indossando il giubbotto di salvataggio e partecipando attivamente ai soccorsi in mare.
L'atleta spagnolo è così finito in un'immagine diventata virale: quella del salvataggio di Josephine, donna camerunense unica sopravvissuta a un naufragio di fronte alle coste della Libia, dopo aver passato 48 ore in mare attaccata a un pezzo di legno. Difficile nascondere, proprio lì di fianco agli occhi terrorizzati di Josephine, i 216 centimetri di Gasol che, uscito allo scoperto, affidò ai suoi social un commento: «Frustrazione, rabbia, impotenza. È incredibile come così tante persone vulnerabili vengano abbandonate alle loro morti in mare. Profonda ammirazione per quelli che stavolta posso definire come i miei compagni di squadra». Li ha chiamati così, il campione: «I miei compagni di squadra». I due fratelli Gasol, avversari sul parquet, sono compagni di squadra nella Fundació Gasol, che è sempre in prima linea nella difesa dei diritti dei bambini e, in questo momento, ha lanciato la sua nuova battaglia nei confronti dell'obesità infantile. I campioni così sono capaci di lasciare, a chi viene dopo, non solo qualche medaglia o trofeo, ma anche un mondo migliore e lo fanno capovolgendo un paradigma mentre tirano a canestro. Nel basket lo scadere dell'ultimo secondo di gioco viene scandito da una sirena, molto simile a quella delle navi. Un suono evidentemente familiare per il protagonista di questa splendida storia: un atleta privilegiato che ha deciso di andare a vedere il mondo guardandolo anche da altri punti di vista.
Il suono di una sirena distingue sempre chi vince e chi perde, nel basket basta fare un punto in più degli avversari. In mezzo al Mediterraneo, però, c'è chi quel suono non lo sopporta e lo vuole spento. E, almeno in apparenza, sembra perfino vincere. Poi, un giorno, arriva un campione, le cose ritrovano il loro senso, quello dell'umanità, della solidarietà, dell'accoglienza, della compassione e tutti si accorgono, improvvisamente, di un'enorme, anzi imbarazzante, differenza di statura fra un campione e un "capitano" qualsiasi.