Se n’è andato, vittima di un incidente stradale, insieme al suo allenatore, a una manciata di settimane dalla sua consacrazione assoluta, della sua immortalità sportiva. Kelvin Kiptum, ventiquattrenne maratoneta keniota, aveva vinto le uniche tre maratone alle quali aveva partecipato in carriera: il suo incredibile esordio alla maratona di Valencia, poi quella di Londra e soprattutto, quattro mesi fa, quella di Chicago, con il tempo di 2h00’35”, nuovo record mondiale sulla distanza. Questo 2024 aveva in serbo per l’atleta due appuntamenti con la storia. Il primo era quello della medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Parigi, ma prima ancora, il prossimo 14 aprile su un tracciato particolarmente veloce come quello della maratona di Rotterdam, Kelvin Kiptum avrebbe tentato di abbattere lo storico muro delle due ore in una competizione ufficiale. A tutt’oggi solo Eliud Kipchoge è riuscito a correre i 42 km della maratona in meno di due ore, al Prater di Vienna nel 2019, in un circuito appositamente preparato per l’occasione e con la collaborazione di 41 lepri, fermando il cronometro a 1h59’40”, ma con un record non omologato dalla Iaaf – la Federazione mondiale dell’atletica – perché realizzato, appunto, in condizioni privilegiate e speciali. Kiptum, invece, aveva nelle gambe, nei polmoni e soprattutto nella testa quel record, che lo avrebbe proiettato nella storia di tutti coloro che hanno cambiato un paradigma nello sport, come Roger Bannister nel 1952, quando – contro l’opinione di chi pensava fosse impossibile per un essere umano – corse il miglio in meno di quattro minuti, o come Dick Fosbury quando – contro l’opinione di chi gli diceva che si sarebbe rotto l’osso del collo – con il suo salto “al contrario” vinse la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Città del Messico nel 1968. O ancora come Jim Hines che, in quello stesso magico anno, corse per la prima volta i 100 metri in meno di 10 secondi, fatto che si pensava riservato a qualche specie felina della savana.
Da quei 9,9 secondi di Hines ai 7.199 secondi, obiettivo di Kiptum a Rotterdam, c’è un viaggio di 56 anni di costante esplorazione del limite atletico umano: «Punto ad andare sotto le 2 ore a Rotterdam e a conquistare l’oro ai Giochi Olimpici di Parigi, per superare i limiti del potenziale umano. Sono pronto a ridefinire ciò che è possibile» aveva dichiarato Kiptum, insieme al suo allenatore Gervais Hakizimana, dopo il trionfo di Chicago. E ancora una settimana fa a Parigi aveva rilanciato, eliminando ogni dubbio: «Ad aprile sarò il primo uomo a scendere sotto le due ore in una maratona ufficiale, ad agosto vincerò la 42 km olimpica». Non sarà così, Kiptum e coach Hakizimana se ne sono andati nei rottami di un’automobile nella Rift Valley, nei pressi di Eldoret, una città dove tanti sogni di ragazzi hanno trovato il modo di realizzarsi, incominciando dalla corsa campestre, all’Eldoret Sports Club, che ha rivelato proprio Eliud Kipchoge, campione olimpico a Rio, Tokyo e autore della performance al Prater di Vienna, o gli olimpionici Faith Chepngetich, Ezekiel Kemboi e Alice Timbilil.
Lo sport, e tutti noi, perdiamo la fonte di un’ispirazione incastonata nel sogno di un bambino che in quella stessa Rift Valley faceva il pastore quando il suo allenatore era ancora un atleta, e che, diventato uomo, insieme a quell’allenatore era pronto a riscrivere la storia dello sport. Se ne vanno insieme, all’alba di quello che doveva essere il loro anno.
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