Manuel si allena (e allena anche noi)
mercoledì 20 febbraio 2019
«Adesso incomincia l'allenamento!». Sono queste le parole con cui Manuel Bortuzzo saluta le tante persone che, in modi diversi, gli sono state vicine dopo il suo ferimento nel quartiere Axa di Roma. Manuel ha 19 anni, è un atleta e quelle parole le pronuncia sorridendo, dal letto di un ospedale dove, attualmente, non è in grado di muovere le gambe a causa di una lesione al midollo. Non ha tempo da perdere per recriminare, per maledire il fatto di essere stato colpito da un proiettile sparato verso la persona sbagliata. Non ha tempo da perdere Manuel, perché fin da quando ha ripreso a far sentire la sua voce, ha sempre dimostrato un'unica certezza: «Tornerò a camminare». Questa ipotesi, al momento attuale, sembra essere improbabile, forse impossibile, dal punto di vista scientifico, almeno stanti le conoscenze attuali della medicina. Il fatto è che a Manuel delle attuali conoscenze della medicina interessa poco o niente. Quello che gli interessa è l'obiettivo finale, perché è un atleta. Ragiona in un modo diverso dai suoi coetanei, ragiona in un modo diverso perfino dagli uomini di scienza.
Il cervello di Manuel è allenato all'allenamento. Il suo sport, il nuoto, è un fatto di fatica pura, di migliaia di ore investite per limare qualche decimo di secondo. Dategli un obiettivo, il più sfidante possibile, e il cervello di un atleta trasformerà il percorso per raggiungerlo in una serie di obiettivi intermedi e di esercitazioni quotidiane. Contemporaneamente un atleta metterà in azione un muscolo, quello che sta in centro al petto, nutrendo così il desiderio che lo condurrà verso il traguardo. È una specie di continuo principio di vasi comunicanti: la ragione e il cuore. Il risultato finale, per un atleta, è sempre e solo la conseguenza della preparazione quotidiana: vive il presente, non si allontana mai dal "qui e ora".
Se ci riferiamo all'antichità classica scopriamo facilmente come l'atleta, per i greci, dovesse essere "bello e buono", cioè unire alle qualità fisiche (bellezza, armonia e vigore), le qualità morali proprie di un buon cittadino. Proprio per questa ragione l'atleta vittorioso, nella società greca, beneficiava di un'aura epica: le sue vittorie rendevano lustro alla città di appartenenza che lo eleggeva come suo "campione", capace di rappresentare la propria comunità il più degnamente possibile. Manuel Bortuzzo i Giochi Olimpici non li ha mai vinti, anzi era a Roma proprio per inseguire il sogno di andarci. Gli hanno sparato, sbagliando persona, urlando: «Questa piazza è nostra». Un fatto di presidio territoriale, una aberrante volontà di rappresentare una comunità. Beh, hanno sbagliato due volte mira. Perché Manuel è un atleta e rappresenta non solo quella piazza, ma mille altre piazze, anzi mi verrebbe da dire ogni piazza di questo Paese che voglia ancora riconoscersi nei valori "del bello e del buono", nel senso più alto del termine.
Siamo noi a dover ringraziare Manuel Bortuzzo, grati dell'esempio di qualcuno che ancora crede nella bellezza della preparazione, nella forza del lavoro, nel sacrificio alla ricerca di un obiettivo difficile, senza pensare alle possibilità di riuscirci. Di fronte al muro rappresentato delle scarse probabilità di farcela, si fermano le persone normali. Gli atleti, di quel muro, si ricorderanno solo dopo averlo superato, voltandosi e trovandoselo alle spalle. Come diceva uno dei più straordinari allenatori ed educatori della storia dello sport, coach John Wooden: «Il successo è la quiete mentale che deriva dal sapere che hai fatto tutto quello che era in tuo potere per diventare il meglio assoluto di ciò che sei capace di diventare».
Buon allenamento, Manuel.
E quando sarà dura, perché sai che lo sarà e che arriveranno i momenti difficili, insisti per te stesso e per essere luce a disposizione di questo Paese rabbuiato perché quella piazza di Roma, le piazze della mia città, tutte le piazze di questo Paese sono tue, campione!
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