
È in palinsesto il mercoledì in prima serata su RaiStoria un programma interessante, oltre che curioso e per certi versi didattico, realizzato da Rai Cultura. Si tratta di Mai più trasmessi, firmato da Enrico Salvatori e Serena Valeri con la regia di Leonardo Sicurello e la conduzione di Simona Vanni, che ogni settimana propone una o due trasmissioni Rai mai più riproposte dopo la loro prima messa in onda. Gli autori sono andati a cercarle, recuperarle e digitalizzarle. Ne è venuto fuori, come accennato, un programma interessante perché tutto quello che esce dalle teche della tv di Stato è patrimonio culturale e storico, che ci racconta l’evoluzione o l’involuzione del nostro Paese dal 1954 (anno dell’avvio della programmazione televisiva regolare) in poi. Un programma anche curioso perché ci mostra com’eravamo, ma anche, ad esempio, come ridevamo (si direbbe meglio di ora nel rivedere alcuni vecchi sketch). Un programma infine didattico perché spiega molte cose a partire dalle primordiali tecniche di registrazione televisiva che, per la cronaca, almeno negli anni Cinquanta erano due: il vidigrafo, che registrava su pellicola le immagini in diretta, e il servizio cinematografico, che prevedeva l’utilizzo di strumenti di solito usati nel cinema. Gli esempi li abbiamo avuti in partenza con la puntata d’esordio dedicata al reportage Visita alla X Triennale, ma soprattutto con il varietà sperimentale Passeggiata in città, trasmesso unicamente il 2 settembre 1954, girato in tecnica cinematografica unendo teatro comico, film documentario e parlato radiofonico. Tra i cinque appuntamenti andati in onda finora e tutti recuperabili su RaiPlay, oltre a un inedito Enzo Tortora ieri sera nel curioso varietà del 1965 I Capostipiti, va segnalato il telefilm (come si chiamavano allora) La madre di Torino, del 1968, ispirato alla storia vera di un bambino che nel 1961 stava per cadere da un terrazzo al nono piano di un moderno palazzone. Fu salvato dalla madre che lo tenne per le mani fino allo stremo, fino a che non arrivò in aiuto un coraggioso meccanico calatosi dal tetto. Il telefilm, diretto da Gianni Bongioanni che con Lucille Laks firma anche la sceneggiatura da un’idea di Arrigo Petacco, è un prodotto televisivo d’autore, pluripremiato all’epoca, inspiegabilmente caduto nell’oblio. Eppure, a vederlo oggi, al netto di qualcosa di datato, si comprende appieno la tecnica innovativa del tempo, a partire dall’effetto realistico delle scene più drammatiche girate in studio e dalla tensione emotiva che riesce a trasmettere attraverso un uso sapiente dei primi piani e del montaggio. Senza volere, Bongioanni, con la riproposizione in versione fiction di una storia drammatica fortunatamente a lieto fine, sembra anticipare il fatto invece ancor più drammatico e purtroppo reale finito in tragedia che avrebbe cambiato per sempre la tv: la disgrazia di Vermicino.
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