Non è raro che le nostre città si trasformino, per le loro dimensioni e il loro implacabile ritmo quotidiano, in paesaggi tristemente anonimi e disumanizzati. Procede ciascuno nella propria bolla, nella corsia chiusa delle sue faccende e preoccupazioni, indossando l’impermeabile dell’indifferenza, proteggendosi così dagli altri per routine, per educazione o perché neppure sappiamo immaginare che la vita in comune possa avere un’altra forma. Per questo contribuiscono grandemente alla qualità umana delle città quei personaggi considerati eccentrici, che si sentono investiti dell’urgenza di una missione, e che gratuitamente ci fanno eredi della loro briciola d’amore. In una città immensa come Rio de Janeiro ha lasciato una traccia che ancora profuma di gioia il cosiddetto “Profeta della Gentilezza”. La sua massima era: “Gentilezza per gentilezza”. L’aveva scritta a caratteri cubitali, a lettere verdi e gialle, così da poter essere vista da lontano. E, con parole e gesti, era quello che egli raccomandava universalmente, tanto ai potenti della terra come ai passanti che incrociava: gentilezza e gratitudine per il creato. Ricordo un personaggio del genere anche a Lisbona. Rimase conosciuto come “il Signore dell’Arrivederci”, perché dal crepuscolo fino all’alba se ne stava in una piazza della città a dire arrivederci alle auto che passavano. Quando morì, tutta la città fu in lutto.
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