Caro Avvenire, chiedo se sia stato opportuno ospitare la campagna promozionale sulla mostra “Arte e fascismo”, che, di fatto, a mio avviso, ha sdoganato l’uso di immagini celebrative di Mussolini in pubblicità, non per stimolare uno sguardo critico ma per fare leva sulla fascinazione della sua figura. Le chiedo perché pubblicarne anche un articolo privo di accenni problematici, ad eccezione di una nota critica nei confronti di certo antifascismo. Personalmente, nonostante si tratti solo della comunicazione di una mostra, trovo questa campagna nei fatti apologetica del fascismo,
Antonio Garzena
Pianezza (To)
Caro Garzena, lei non è l’unico lettore ad avere sollevato il sopracciglio di fronte alla pagina pubblicitaria con il busto in bronzo di Mussolini realizzato da Adolfo Wildt (sforacchiato dai colpi dei partigiani, va ricordato) che chiude la mostra “Arte e fascismo”, promossa al Mart di Rovereto da Vittorio Sgarbi. Ne ha scritto con equilibrio su “Avvenire” il critico Giancarlo Papi, e ne hanno riferito quasi tutti i principali media nazionali.
Dico subito che concordo sullo sfruttamento compiuto, per promuovere l’evento, dell’immagine del Duce come veicolo di interesse da una parte e di controversia dall’altra. La buona (non eccelsa) rassegna rimane comunque una celebrazione dell’arte del periodo e non del regime, cui pure non fu estranea.
Mi ricorda il collega ed esperto Alessandro Beltrami che fin dal 1982, con la mostra “Anni Trenta. Arte e cultura in Italia”, curata a Palazzo Reale di Milano da Renato Barilli ed Enrico Crispolti, si è aperto un dibattito post-ideologico sull’arte e l’architettura del Ventennio, riconoscendone l’oggettiva qualità. Qualcosa di simile ha fatto più recentemente Germano Celant, alla Fondazione Prada, con “Post Zang Tumb Tuuum” nel 2018. Come si vede, precedenti al di sopra di ogni sospetto di nostalgia o compiacenza.
Tuttavia, non possiamo eludere quello che è il cuore della sua lettera, caro Garzena. Stiamo assistendo a una rivalutazione di alcuni aspetti del fascismo? La dichiarata volontà del centrodestra di sostituire l’egemonia culturale della sinistra con una nuova tendenza di pensiero ci riporta a un passato per lo meno discutibile o vuole rinnovare davvero guardando anche a tradizioni tuttora feconde?
Sono domande complesse che richiederebbero molto spazio. Mi permetto di evidenziare due premesse che rimangono a mio avviso problematiche. In primo luogo, non si vede ancora porre le basi per un tale ricambio costruttivo, mentre si censura uno scrittore come Antonio Scurati, pluripremiato a livello internazionale. Secondo, quando vi sono occasioni propizie - come abbiamo documentato su queste colonne per gli anniversari di Tommaso d’Aquino, uno dei giganti da rivalutare della cultura italiana
- non è sembrato che da parte del campo di centro-destra vi sia stata la mobilitazione necessaria.
In definitiva, la vicenda di Rovereto si annuncia come un fuoco di paglia che non cambierà il panorama ideologico. “Avvenire” sta invece fattivamente alimentando una animata discussione sul ruolo della cultura cattolica che ci auguriamo sappia portare frutti migliori.
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